L’inverno più duro e un governo debole

Il commento Il 20-21 ottobre a Bruxelles si terrà il vertice Ue decisivo per le politiche energetiche, ma l’Italia si presenterà con un premier a fine corsa: bisogna prendere tempo e pensare in grande

Non più tardi di un paio di anni fa, ciascuno di noi, ha preso familiarità con politiche vaccinali, quarantene e bollettini di contagio; oggi ci confrontiamo quotidianamente con proposte e strategie per uscire dalla crisi energetica. Vi è tuttavia una profonda differenza tra queste due politiche che rendono assai meno comprensibile la seconda.

In tema di contrasto alla pandemia, se si esclude la dicotomia vaccini sì/vaccini no (e le polemiche dei “no vax”), le proposte politiche si sono confrontate, da un lato con l’esigenza di contrastare la pandemia mantenendo le restrizioni, e dall’altro con l’esigenza di riassicurare mobilità, istruzione in presenza e ripresa economica. Tutte le ricette introdotte in questo ambito hanno oscillato tra la prima e la seconda esigenza, con gradazioni diverse.

Le ricette sulla gestione della crisi energetica, avanzate in campagna elettorale e anche in questi giorni di nascita del nuovo governo, sono invece tutte concentrate su un solo obiettivo: assicurare tempestivamente a famiglie e imprese sussidi per ridurre gli effetti devastanti dell’incremento di gas ed energia elettrica. Specularmente, anche a Bruxelles, il tema principale sul tavolo è quello di porre un tetto al costo del gas.

Palliativi

Veramente questo è il cuore del problema? La risposta non è semplice ma deve essere subito chiaro che qualsiasi intervento che l’Europa e l’Italia faranno per proteggere famiglie e imprese non potrà essere considerato un intervento né duraturo né risolutivo. Pensarlo sarebbe come convincersi che la perdita di posti di lavoro generati da una crisi si possa risolvere solo con l’incremento della cassa Integrazione guadagni!

Calmierare bollette e prezzo del carburate alla pompa di benzina sono interventi inevitabili e necessari per evitare il collasso del nostro sistema economico e sociale, ma sarebbe gravissimo, anzi folle, pensare che possano essere - come sottolineato - duraturi e risolutivi.

Il peso del debito

Non possono essere duraturi perché molto costosi e gravanti sul nostro debito pubblico. A differenza della Germania, che ha appena messo sul piatto per famiglie e imprese tedesche 200 miliardi di euro, noi abbiamo il più alto indebitamento d’Europa. Inoltre la crisi energetica potrebbe durare anni e non mesi. Le stime ci dicono che l’inverno “terribile” non è quello che ci attende ora, ma quello del 2023.

Non possono essere risolutivi perché il nodo centrale rimane quello dell’affrancamento dalla dipendenza dagli idrocarburi grazie al maggior utilizzo dell’energia rinnovabile (solare in primis) e al contenimento dei consumi. Sfide queste due ultime che richiedono investimenti per opere da cantierare subito e assai costose. Servono risorse ingenti e programmate per diversi anni.

Questa polarizzazione sull’emergenza fa sì che passi in secondo piano un negoziato centrale per l’Italia e per la sopravvivenza della stessa Unione Europea. In questi giorni a Bruxelles, infatti, non si parla solo di tetto del gas ma anche del finanziamento del RepowerEU, la risposta europea alla crisi energetica, sulla scia del successo del NextgenerationEu in risposta alla crisi pandemica.

Ebbene, a differenza del NextgenerationEU, interamente finanziato con l’emissione (storica) di Eurobond, la proposta della Commissione europea prevede la copertura dei costi attingendo ai fondi strutturali e ai prestiti Pnrr inoptati, imponendo lunghe e complicate riprogrammazioni. Il denaro “fresco“ sarebbe solo di 20 miliardi, da dividere per 27 paesi. La coperta è corta.

Una proposta questa che ha dovuto tenere conto della ritrosia dei paesi del nord Europa, cosiddetti “frugali”, a creare ulteriore debito pubblico europeo e che sarà discussa tra pochissimi giorni (il 20-21 ottobre) nel nuovo vertice. Vertice al quale si presenterà un premier uscente e dunque indebolito o, nella migliore delle ipotesi, una premier ancora sprovvista di alleanze che non possono essere costruite in due giorni.

Draghi, uscendo dal Consiglio informale di Praga qualche giorno fa, si è detto intenzionato a riproporre la questione; Meloni si dice risoluta nel far valere il peso del nostro paese che, per inciso, è in prima fila tra i danneggiati dal caro energia.

La speranza è che chiunque siederà a quel Consiglio faccia in modo che non sia risolutivo, per dare tempo al nuovo governo e alla nostra diplomazia di rinsaldare alleanze forti per continuare nel progetto di una Europa che difenda i beni comuni, come la democrazia, il lavoro e l’energia appunto.

Farsi valere

L’Italia non solo è la seconda potenza manifatturiera in Europa, ma dell’Unione europea è anche fieramente fondatrice. L’Europa è andata in standby attendendo l’esito delle elezioni tedesche e la successione alla Merkel, l’Europa ha traballato quando Orbàn minacciò di mettere il veto sul bilancio europeo tra Natale e Capodanno del 2020.

Per una volta non sarebbe utile prendersi una piccola pausa di riflessione e provare a pensare in grande? Parola di Italia, socio fondatore.

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