Maddalena, la “strega” che ci abita dentro

Carlo Silini, autore di una trilogia di romanzi da cui è tratta l’opera lirica prossima al debutto: «Nell’area insubrica la persecuzione fu feroce. I femminicidi di oggi figli di quel modo di pensare»

Maddalena è un nome straordinariamente evocativo nella tradizione cristiana ed è quello toccato in sorte a una ragazza ticinese del Seicento che ha ispirato la protagonista di una trilogia di romanzi del giornalista e scrittore svizzero Carlo Silini: “Il ladro di ragazze” (2015), “Latte e sangue” (2019) e “Le ammaliatrici” (2021), editi da Gabriele Capelli. Ora la sua storia diventa un’opera lirica, che debutterà al Palazzo dei Congressi di Lugano il 3 novembre. Non sappiamo come sia finita la vita reale di Maddalena, ma nella finzione finisce al rogo nel convento di San Giovanni in Pedemonte a Como, centro nevralgico dell’Inquisizione.

Chi era Maddalena de Buziis?

È un nome che ho trovato nel “liber baptizatorum” della parrocchia di Mendrisio, ovvero il registro delle nascite che i parroci erano tenuti a compilare e conservare dopo il concilio di Trento. Di lei viene segnalato l’arrivo nella casa parrocchiale di Mendrisio nel 1632 per essere battezzata in punto di morte. Ma il dettaglio più interessante sono i nomi dei suoi genitori: Barbara de Buziis e Antonio Secco Borrella, ex frate cistercense. A un appassionato di storie del Mendrisiotto, come me, è venuto subito in mente il legame con il Mago di Cantone, figura leggendaria dietro la quale si cela un personaggio di malaffare che era Francesco Secco Borrella, padre di Antonio e, quindi, nonno di Maddalena. Nello stesso 1632 questo figuro risulta ucciso da un colpo di archibugio mentre di affaccia dalla finestra di un palazzo a Mendrisio. Da questi fatti storici mi è venuta l’idea di scrivere un romanzo sul Mago di Cantone e sulle donne che perseguitava. È, infatti, un po’ il prototipo del serial killer che rapisce, violenta e uccide ragazze, di cui poi nascondeva i corpi in una grotta dietro il suo palazzo.

La grotta e il palazzo esistono ancora e i luoghi in questa storia hanno una grande importanza...

Quello che chiamano “il castello del Mago di Cantone” - in realtà un palazzo diroccato - si trova a metà strada tra Mendrisio e Riva San Vitale. Dietro, effettivamente, è situata una grotta e, dentro la grotta, una pozza...

Nei suoi libri Maddalena subisce angherie non soltanto da questo losco figuro, ma anche dall’Inquisizione, che proprio negli anni in cui la scienza fa i suoi progressi maggiori, diventa più efferata (Galileo abiura nel 1633). Seguendo questo filo, la storia arriva a Como, dove oggi sorge la stazione che ha mantenuto il nome del convento di San Giovanni...

È sorprendente vedere che il momento più feroce della caccia alle streghe a Como e nelle terre che dipendevano religiosamente da Como, quindi anche in Canton Ticino dove io ambiento i miei romanzi, sia stato proprio il Seicento, secolo in cui moltissime donne furono processate e giustiziate. Maddalena de Buziis non so se sia stata condannata come strega, però io ho preso questo nome dai registri parrocchiali di cui ho detto e le ho fatto compiere una “carriera di strega” verosimile, basandomi su quanto ho letto negli atti dei processi che venivano fatti nei baliaggi del Mendrisiotto e, per la gran parte, nel convento domenicano di San Giovanni a Como, che è stato il massimo centro inquisitoriale a Sud delle Alpi.

Oggi i passeggeri che vanno a prendere il treno trovano nella stazione un bassorilievo dedicato al convento, che però incredibilmente ricorda solo il più famoso inquisitore, il copatrono di Como San Pietro da Verona, e non le innumerevoli vittime dell’inquisizione stessa.

Quantomeno andrebbero riportati i nomi degli ultimi inquisitori, che segnarono un cambio di passo, per fortuna. Furono loro, infatti, già alla fine del Seicento, i maggiori difensori delle cosiddette streghe, mentre l’autorità laica era molto più superstiziosa. Questi frati, che erano anche dotti, cominciarono a porsi qualche problema di diritto, e anche di diritti umani, per cui chiedevano sempre più insistentemente agli accusatori di portare prove. Emerge dagli atti dei processi. «Come fate - dicevano, per esempio - a dimostrare che questa donna sia in relazione con il diavolo e che sia stata lei a scatenare la grandine che ha distrutto il raccolto di quest’anno?» Incredibilmente è nato in ambito inquisitoriale un diritto illuministico, che ci ha portato poi ad attribuire un difensore agli accusati e l’onere della prova agli accusatori

E di San Pietro da Verona, ucciso nel 1252 nei boschi di Balsassina con una specie di roncola dai parenti di persone da lui perseguitate, che idea si è fatto?

Esiste un libro del Cinquecento, che ho letto, sui conventi domenicani, tra cui quello di San Giovanni in Pedemonte, con gli eventi miracolosi collegati. A Como c’era una pianta di agnocasto ritenuta sacra, un pozzo dove la gente veniva a prendere l’acqua benedetta per guarire dalle malattie, e i nobili si facevano spesso seppellire nei pressi del convento perché aveva un’aura di santità. Pietro Martire è stato nella storia della Chiesa un esempio di santo subito, un eroe preso come modello si superman ecclesiale nella persecuzione delle eresie. Forse è stata ingigantita la sua fama e di sicuro la sua iconografia è nota ovunque: se vedete l’immagine di un frate domenicano con una roncola, che per la precisione si chiama falcastro, piantata nella testa, sappiate che è San Pietro Martire, ucciso proprio nei boschi tra Como e Milano in una delle sue missioni inquisitoriali.

Il suo terzo romanzo su Maddalena, “Le ammaliatrici”, così come l’opera lirica in arrivo, pone l’accento anche su un’altra accusa che veniva mossa a queste donne: di essere sensuali, venivano non a caso definite “maliarde”.

Sì, “ammaliatrici” e “maliarde” hanno la stessa etimologia. Maliarda veniva chiamata la strega, ritenuta una delle forme che assume il demonio per sedurre l’animo umano. Vorrei far notare un aspetto curioso del cattolicesimo del Seicento: alle nostre latitudini è stato particolarmente moralizzatore e rigorista, eppure se entri in una chiesa barocca trovi una profusione di putti e di sensualissime maddalene penitenti. A me pare che un’epoca in cui si imponevano, soprattutto alle donne, dei costumi estremamente limitanti, direi talebani facendo il paragone con l’oggi, l’arte, quasi per reazione, ha dato il massimo spazio alla sensualità.

Trova che qualcosa di questo pregiudizio nei confronti delle donne sopravviva anche qui da noi, in Occidente?

Secondo me gli abusi nei confronti delle donne sono entrati a far parte del nostro Dna sociale, soprattutto negli ambienti più pervasi dall’ignoranza. Non mi saprei spiegare diversamente oggi la massiccia piaga del femminicidio, che colpisce quotidianamente. E non c’è bisogno di andare nei paesi islamici fondamentalisti per renderci conto che qualcosa di quella visione malata, maschilista e anti donna, ci è rimasto dentro.

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