Finalmente Maria era tornata a Pellio. Settembre era stato un mese di convegni. Ma non solo: c’era pure scappato il morto in quel convegno dov’era stata insieme a Umberto. Adesso voleva solo riposarsi nel suo Carlàsc, la villa di famiglia.
«Settembre, andiamo è tempo di migrare... ottobre, è tempo di studiare» pensò passeggiando nell’ampio giardino di casa, parafrasando una celebre poesia di D’Annunzio - poeta che non amava particolarmente, ma che per gli slogan era perfetto. Era stato D’Annunzio a coniare termini come “La Rinascente”, “scudetto”, “tramezzino”. Insomma, un pubblicitario ante litteram! Proprio di linguaggi nuovi, come la pubblicità e il rock, si stava occupando in quel periodo. Era un’avventura esaltante, si sentiva come un’esploratrice di nuovi mondi. Ed era felice, di una felicità mentale, soprattutto, ma che poi diventava anche fisica, una specie di formicolio che la attraversava dalla testa ai piedi.
Camminava calpestando le foglie a terra. La magia delle lingue: come da una sola parola originale, il latino “folium”, fossero germogliate - era proprio il caso di dire! - due parole italiane, “foglio” e “foglia”.
Persa in quei pensieri, non si era accorta di una persona ferma sulla soglia del cancello. “Soglia” era un’altra di quelle parole con un bel grappolo di rapporti e derivazioni: “solium”, “solea”, “solum”...
Socchiuse gli occhi - no, non lo conosceva - e si avvicinò. Era un giovane, poteva avere l’età dei suoi studenti o qualche anno in più, ma la cosa più singolare era l’abbigliamento: una camicia rossa a sbuffo, e sopra di essa una lunga livrea scura, orlata sempre di rosso. In testa sembrava portare una parrucca. Anche il volto era strano: pareva come... incipriato…
«Mi hanno detto che risolvete misteri» le si rivolse il misterioso giovane, riesumando un curioso “voi”.
Maria ridacchiò compiaciuta.
«Mi lusingate, messere» rispose divertita, adeguandosi all’atmosfera d’altri tempi che emanava dal giovanotto. Maria era una persona molto spiritosa, sapeva sempre cogliere in chi aveva di fronte quella che chiamava «la dominante», ossia il tratto specifico, peculiare. L’aveva imparato dalle lingue, e lo trasponeva senza problemi - anzi, con successo - nelle persone.
Il giovane annuì e aggiunse brevemente: «Allora vi farò strada, se permettete».
Quando si voltò, confermò l’impressione: quella che aveva in testa era una parrucca con tanto di codino! Nemmeno D’Annunzio si sarebbe spinto a tanto, si disse divertita Maria.
Scesero giù costeggiando gli imponenti bastioni del Carlàsc, le cui fondamenta si diceva fossero seicentesche, e imboccarono un sentiero in mezzo agli alberi, in discesa. Camminarono a lungo. Il giovane, davanti a lei, non parlava, né tantomeno si girava. Procedeva spedito, il codino danzava ipnotico sulla schiena.
Ingenuità...
Oltre che molto curiosa e spiritosa, di natura Maria era anche una persona che si fidava molto degli altri - non era però una forma di ingenuità, come taluni pensavano, ma era una forma di umanità, che discendeva direttamente dalla massima del grande Terenzio «Sono un uomo, niente di umano considero estraneo a me». Per Maria i versi dei poeti, le frasi dei romanzieri erano innanzitutto indicazioni di vita. A differenza di tanti - troppi! - suoi colleghi di università lei non studiava «per avere uno stipendio, ma per vivere a pieno», come ripeteva spesso. Ingenua? E allora viva l’ingenuità! (Fra l’altro, osservava sorniona come un felino, “ingenuity” in inglese vuol dire “ingegno”, ma guarda tu le lingue!)
Anche quella volta Maria si stava fidando, naturalmente. A un certo punto si alzò anche una leggera foschia. «Quasi giungemmo al Fine» ruppe il silenzio da ultimo il giovane. Ma quello non era l’inizio, leggermente adattato per l’occasione, del poemetto “Alexandros” di Giovanni Pascoli? Ma l’aveva davvero sentito o era stato soltanto uno scherzo della sua mente particolarmente suscettibile, vista la bizzarra situazione? Del resto stava pur sempre seguendo un giovane vestito alla moda del Settecento in mezzo a una nebbia scesa all’improvviso...
D’un tratto la foschia svanì e si ritrovarono in un vasto spiazzo erboso. C’erano diverse persone che chiacchieravano amabilmente. Ognuna era vestita in modo particolare. C’era chi indossava una specie di toga romana, chi una giubba tardomedievale o rinascimentale, chi era avvolto in un tabarro di gusto ottocentesco, e altre bizzarrie. Parlavano, ridevano, qualcuno teneva in mano una coppa da cui sorseggiava.
All’improvviso un uomo con un pizzetto rosso fuoco, quasi accecante, si voltò e sorrise.
«Sei arrivata al momento opportuno» la salutò. «“In girum imus nocte et consumimur igni”. Cosa te ne pare?»
«“Andiamo in giro di notte e siamo consumati dal fuoco”. Ma la particolarità non è il significato, poetico, certo, ma il fatto che è una frase palindroma, si legge da sinistra a destra e viceversa. A Milano, non a Lima. Ebro è Otel, ma Amleto è orbe. Piacerebbe al mio amico Umberto».
«E che ne dici di quest’altra» intervenne una ragazza dai boccoli dorati. «Se dico che insegno Ippica azteca...»
«Dico che è impossibile, essendo i cavalli ignoti agli aztechi. È un “adynaton”, una cosa impossibile».
«Fonetica del film muto...» intervenne un terzo, piccolo come un folletto.
«È un “oxymoron”, un ossimoro, i due termini sono in contraddizione».
«Sei un osso duro, eh?» commentò l’uomo che aveva parlato per primo «Bene, risolvi quest’ultima...» Tacque un momento e poi scandì: «I segreti di Pavia hanno i tempi corti».
Maria sorrise.
All’improvviso ecco di nuovo la foschia. Per un po’ non si vide niente. Anche il chiacchiericcio svanì. Silenzio assoluto. Poi la nebbia si diradò. Non c’era più nessuno. Solo alberi e tutt’intorno verde. Un verde muschioso, autunnale.
Maria si guardò intorno perplessa. Aveva sognato a occhi aperti? Era stata una sua felicissima fantasia mentale? Un viaggio nello stile trasognato di quel libro folle dal titolo lunghissimo e quasi impronunciabile che stava leggendo proprio allora, “Hypnerotomachia Poliphili”? Una “Hypnerotomachia... Mariae”?
«I segreti di Pavia hanno i tempi corti...» le sembrò di sentire riecheggiare debolmente nell’aria.
Avete idea di cosa si nasconda dietro questa frase?
(Piccolo suggerimento: “googlando” opportunamente si trova qualche suggerimento...)
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