Non solo scommesse, che scandalo il calcio

L’amara riflessione di uno scrittore tifoso che andava allo stadio con Sereni e Raboni e oggi non si rassegna a smettere di seguire quello che è diventato uno spettacolo privo di etica

Ho sempre considerato il calcio come un’occasione di sereno intrattenimento, di pacifica e piacevole evasione dal reale quotidiano e dalle sue stesse ragioni di turbamento. Con la presenza partecipe e la particolare bellezza che questo gioco comporta. Ne ho bellissimi ricordi, dalle prime partite viste allo stadio di San Siro con mio padre, al tempo in cui ci andavo con grandi poeti e per me esemplari maestri come Vittorio Sereni e Giovanni Raboni.

In quei tempi lo stesso calciatore era, in fondo, un tipo simile all’artista. Vale a dire un giovane che cercava il senso del proprio esserci in qualcosa di estroso e discretamente inventivo, in fondo di alternativo rispetto alla normale routine e ai meccanismi imposti dal sociale nei suoi aspetti prevalenti e non poco costrittivi.

Oggi, in effetti, il mondo reale di questo sport è sensibilmente mutato e chi lo pratica ad alto livello è in fondo parte, più o meno inconsapevole, della società dello spettacolo e della pubblicità totale in cui viviamo. Il risalto sociale ed economico di chi lo pratica con successo diviene elemento cardine, a tratti imbarazzante per chi cerca ancora di seguirne le vicende. L’enormità del successo economico delle star del calcio diviene a volte, a mio modo di vedere, pressoché scandaloso...

Compensi esagerati

Dico la verità, in modo semplice e da uomo della strada, ma quando leggo di certi compensi milionari riservati a ragazzi che tirano calci a un pallone, rimango sinceramente turbato, e mi dico persino: beh, se così è, viste le condizioni in cui si dibattono innumerevoli esseri viventi, se così è, almeno abbiate il pudore di tacere, di non darcene notizia...

Tutto questo rientra, del resto, nel mondo fasullo e di spettacolarizzazione pervasiva di cui questo sport viene a essere parte e non troppo marginale, anche se io continuo a seguirlo secondo quella che ormai considero come una forma, un po’ incongrua, di quasi alienazione consapevole...

Un immenso varietà

Ma è chiaro che in questo varietà immenso che è diventata la nostra realtà pubblica e di cui sono parte anche i calciatori, lo spazio di umana autenticità a loro concessa è sempre più ridotto, fino a risultare praticamente irrilevante, minimo. E dunque il manifestarsi di comportamenti assurdi, persino di vicende come quelle dei recenti scandali dovuti alle scommesse. Inevitabile, tra l’altro, riandare a un tempo ormai lontano, ma di cui conservo la memoria e cioè un precedente e ben vistoso scandalo, quello del 1980, quando divetti del calcio di quel tempo furono arrestati con grande eco nell’informazione. Ci sono ancora foto varie e filmati più o meno in circolazione, come quello della trasmissione tv “90º minuto” che ci mostra quei ragazzi prelevati dalla polizia o alla sbarra del processo; e vi furono coinvolte ben cinque squadre della Serie A di allora, con campioncini della nazionale. Ci fu poi l’altro scandalo, quello cosiddetto di Calciopoli, del 2006, che coinvolse invece dirigenti di importanti società. Sono ricordi, ma neanche tanto sbiaditi e che si riaffacciano, inevitabilmente, quando qualcosa di simile li fa tornare a galla.

Questa volta i nomi circolati non sono molti, ma fa impressione apprendere certe modalità delle ragioni di coinvolgimento di alcuni divetti del presente. Ragazzi che incassano cifre enormi, spesso assurdamente pari al reddito complessivo di centinaia di famiglie, il che è già di per sé qualcosa di insensato e profondamente incivile. Ma oltre all’ingiustizia sociale assistiamo anche, con meraviglia, all’evidente disagio mentale, alla sprovvedutezza di giovanissimi ai quali il destino ha regalato, comunque, vere doti specifiche e la fortuna di poterle mettere in pratica al livello sportivo più alto. Evidente è la loro immaturità, se hanno bisogno di dedicarsi a un gioco d’azzardo banale per impiegare il loro tempo libero e arrivando addirittura a indebitarsi, pur foraggiati come sono dalle società sportive di appartenenza, oltre a godere di una pubblica ammirazione. Cresciuti come animaletti d’allevamento, non riescono a raggiungere una maturità umana normale, un vero equilibrio adulto. Ed è evidente che responsabile di tutto questo è soprattutto la realtà in cui sono cresciuti, un mondo di società spettacolo che non promuove una autentica crescita umana dei soggetti coinvolti; quanto meno non di tutti, visto che non è mai il caso di generalizzare.

Leggiamo che alcuni di questi ragazzi (ma è chiaro che oltre ai coinvolti pubblicamente nella vicenda non possono non essercene altri) vengono definiti affetti da ludopatia. Una parola che, confesso, mi era fin qui del tutto estranea e che indica la dipendenza dal gioco d’azzardo, che, ovviamente, si estende a chiunque, soprattutto in altri campi, soffra di un disturbo comportamentale, di una seria difficoltà nel controllo degli impulsi. E trattandosi di giovani che in fondo parrebbero favoriti, e moltissimo, dalla sorte, in qualche modo di privilegiati, che giocando a palla risolvono (o potrebbero ben farlo) problemi concreti di un’esistenza, la cosa diviene ancora di più sorprendente e assurda. Ma qui, va ripetuto, è essenzialmente il contesto, la realtà abnorme dell’ambiente in cui si trovano a operare, la prima causa del loro disagio, più o meno sottostante, della immaturità, che li porta a un uso senza criterio del loro tempo libero.

E chi ama lo sport, chi continua a seguirlo con partecipe piacere, come nel mio caso, non può che rimanerne meravigliato e sgomento.

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