Pablo Neruda a Ceylon ignoto e felice

«Saludo a Ceylán, perla de verdor, flor de las islas, torre de belleza!... mis ideas y mi poesía mucho le deben a esta isla. He conocido y amado a su generoso pueblo...» (Pablo Neruda, discorso alla Conferencia de Paz del 1957 a Colombo)

Quando arrivò a Colombo Pablo Neruda aveva 24 anni e due libri di poesie pubblicati a Santiago, “Crepusculario” e “Veinte poemas de amor y una canción desesperada”. Si era fatto notare nell’ambiente letterario e aveva ottenuto un incarico diplomatico come console onorario del Cile. Era il 1928, a Colombo Neruda stava nel quartiere Wellawatte, sulla 42 Line, al numero 56. Qui scrisse uno dei suoi libri più importanti, “Residencia en la tierra”, che avrebbe pubblicato nel 1935 a Madrid.

Un quartiere trasformato

Dall’undicesimo piano del mio albergo guardo giù sul litorale, la suburbia di Colombo. Cerco di individuare il punto dove poteva essere il bungalow di Pablo Neruda durante il suo incarico diplomatico presso l’ambasciata del Cile.

Sotto di me la strada corre in parallelo alla ferrovia che costeggia la spiaggia. Più a sud, oltre il fiume, si stende il quartiere Wellawatte. Quando Neruda giunse qui, Wellawatte era un sobborgo quasi esterno a Colombo con spiagge pulite e palme. Oggi la città lo ha inglobato e probabilmente il bungalow del poeta sarà diventato uno di quei palazzacci che vedo giù in basso. L’aria azzurrina del crepuscolo fiorita di lucine tenui ammorbidisce le sgraziate forme di una periferia caotica e casuale.

Passano treni stracarichi, con grappoli di uomini in equilibrio sul predellino aggrappati alle maniglie. Non c’entra più nulla questo quartiere con la Colombo dove visse Neruda.

Nella sua autobiografia il poeta parla molto di solitudine qui a Wellawatte. In realtà la solitudine di Neruda era più uno spaesamento. Parla poco del suo lavoro di console, evidentemente un rappresentante del governo cileno aveva pochi concittadini da tutelare in Ceylon nel 1928. In una lettera alla madre del 1929 scriveva: «Mi alzo il mattino e cammino sulla spiaggia in costume da bagno per un paio d’ore sfruttando l’unica ora fresca del giorno. Quindi entro nell’acqua che è sempre tiepida e tento di nuotare, arte nella quale continuo a progredire a poco a poco. Quindi ritorno a casa dove i miei servitori hanno preparato un eccellente (?) pranzo per il “master”, come dicono loro. Quindi lavoro. A volte il lavoro è faticoso, altri giorni non c’è niente da fare, se non dormire».

Poteva avere dei vuoti nelle giornate. E comunque non gli mancavano le compagnie femminili per riempirli. Prima di arrivare a Colombo c’era stata Josie Bliss, un amore che aveva conosciuto a Rangoon nel precedente incarico. La definì in molti modi: “pantera birmana”, “la maligna”, “la más bella de Mandalay”, “mi niña amorosa”, “love terrorist”.

“Tango del vedovo”

Era una donna passionale, di una gelosia possessiva, ossessiva, e così Neruda riuscì a farsi spostare da Rangoon a Colombo per sottrarsi. Sulla nave che attraversava il golfo del Bengala scrisse dei versi dedicati al loro turbolento rapporto “Tango del vedovo”:

«Sotterrato vicino al cocco troverai più tardi / il coltello che ho nascosto per timore che tu mi uccidessi, / e ora all’improvviso vorrei fiutare il suo acciaio da cucina / abituato al peso della tua mano e al bagliore del tuo piede […] Come mi angoscia pensare al chiaro giorno delle tue gambe / distese come ferme e dure acque solari, / alla rondine che dorme e vola nei tuoi occhi, al cane di furia che alberghi nel cuore, / così vedo anche quanta morte c’è tra noi due da questo momento».

Pensava di averla seminata, ma Josie inaspettatamente scoprì dove si trovava e lo raggiunse a Wellawatte scatenando scenate furiose di gelosia. Vedeva altre donne frequentare il bungalow dell’amato poeta, lo minacciò di incendiargli l’abitazione, poi aggredì con il coltello una delle visitatrici. Venne espulsa da Ceylon dalla polizia. La portarono via che urlava e spargeva lacrime. Neruda andò a salutarla sulla nave. Lei, forse sperando che la trattenesse, gli chiese perdono baciandogli il capo, le mani e infine le scarpe bianche fino a imbrattarsi il viso di gessetto, sollevando una faccia da clown verso lo sconcertato poeta. Una scena straziante che racconta lui stesso.

Non frequentava molto gli ambienti inglesi Neruda. Aveva più rapporti con i Burgher. Esprimeva sentimenti di gratitudine per il fotografo Lionel Wendt, abbiente animatore di circoli culturali, fondatore del Colombo ’43 Group. Wendt si faceva arrivare molti libri dall’Inghilterra ed era generoso.

«Scoprii che il pianista, fotografo, critico, cineasta, Lionel Wendt, era il centro della vita culturale che si dibatteva fra i rantoli dell’impero e una riflessione sui valori vergini di Ceylon. Questo Lionel Wendt, che possedeva una grande biblioteca e riceveva tutte le novità dall’Inghilterra, prese la stravagante e buona abitudine di mandarmi ogni settimana a casa, fuori città, un ciclista con un sacco di libri. E così, in quel periodo, lessi chilometri di romanzi inglesi, fra cui “L’amante di lady Chatterly”, nella prima edizione fuori commercio apparsa a Firenze. Le opere di Lawrence mi impressionarono per il loro senso poetico e un certo magnetismo vitalistico rivolti ai rapporti nascosti fra gli esseri. Ma ben presto mi resi conto che, malgrado il suo genio, Lawrence, come tanti scrittori inglesi, era frustrato dal suo prurito pedagogico».

Neruda non si dedicava solo alla lettura e alla scrittura. Attorno al suo bungalow ronzavano molte donne.

«Amiche di vari colori passavano per la mia branda senza lasciare altra storia che il lampo fisico. Il mio corpo era un rogo solitario che bruciava notte e giorno su quella costa tropicale».

Poi, forse con inconsapevole spudoratezza, racconta anche di un amore rubato. Una storia che non gli fa onore e che ancora oggi raccoglie commenti amari, deplorazioni, condanne.

Il suo gabinetto consisteva in un asse con un buco, sotto c’era un cubo di metallo che ogni mattina ritrovava pulito. Un giorno si alzò presto e vide che all’alba una bellissima ragazza arrivava con un cubo nuovo in bilico sulla testa e portava via quello sporco. Era una Dalit, una intoccabile, una di quelle aberrazioni delle caste indù che condanna chi nasce paria a rimanere emarginato per sempre. I Dalit devono vivere fuori del villaggio, a loro è vietato utilizzare strade e fontane pubbliche, fare acquisti in negozi frequentati dai membri di caste alte, preparare cibo per membri di caste alte, leggere e studiare i Veda ed accedere ai templi. Gandhi aveva cominciato a combattere queste barbarie: «Considero l’intoccabilità come la più grande tara morale dell’Induismo». Ma non era bastato.

Neruda dopo la prima apparizione della ragazza iniziò a farle qualche regalo, poi, affascinato dal suo corpo, si spinse a toccare l’intoccabile.

«Un mattino, deciso a tutto, l’afferrai per un polso e la guardai faccia a faccia. Non c’era nessuna lingua in cui potessi parlarle. Si lasciò guidare da me senza un sorriso e a un tratto fu nuda sul mio letto. La sottilissima vita, i fianchi pieni, la traboccante coppa del seno, la rendevano identica alle millenarie sculture del Sud dell’India. Fu l’incontro di un uomo e di una statua. Rimase tutto il tempo con gli occhi aperti, impassibile. Faceva bene a disprezzarmi. L’esperienza non venne più ripetuta».

Uomo d’altri tempi, benché comunista e promotore dei diritti delle donne, non si rendeva conto della gravità di un comportamento che era di pura violenza verso una donna a cui avevano tolto il diritto di opporsi, di protestare, persino di pensare un’idea di ribellione. Era una “intoccabile”, una “dalit”, la società le aveva insegnato da bambina che lei non aveva alcun diritto in questo mondo. Agì con poca poesia il poeta, ma soprattutto con leggerezza, forse senza rendersi conto pienamente della bassezza del suo gesto, tant’è vero che raccontò l’episodio nelle sue memorie.

Perseguitato da un errore

Ma gli errori non scendono nella tomba. Se non li nascondi bene escono dai cimiteri e vanno in cerca di attenzione. Vogliono far sapere di essere stati messi in scena, di esistere, gli errori. Nel 2018 in Cile emerse l’idea di dedicare l’aeroporto di Santiago a Pablo Neruda. Da una parte le destre erano contrarie perché il poeta era stato comunista, dall’altra le femministe si opposero sollevando il problema di quel lontano comportamento di Neruda.

Parola di Isabel Allende

«Come molte giovani femministe in Cile sono disgustata da alcuni aspetti della vita e della personalità di Neruda. Non possiamo però rifiutare le sue opere, come “Canto General”. Un capolavoro» disse Isabel Allende al “Guardian.” La protesta montò e non poté essere ignorata. Per ora l’aeroporto di Santiago, a causa di quella lontana violenza silenziosa di Neruda, porta ancora il nome meno poetico di Arturo Merino Benítez, fondatore della Cilean Air Force.

C’è un altro punto oscuro nella vita di Neruda. Nel 1930 il poeta sposò Maryka Antonieta Hagenaar Vogelzang, una donna olandese conosciuta a Java. Dal loro matrimonio nel 1934 nacque Malva, una bambina affetta da idrocefalia. Poco dopo la sua nascita Neruda abbandonò la famiglia e Malva venne data in affido. Lui non parlava mai della figlia, ma anche questo episodio ha avuto peso nel giudizio di chi, oltre alla vita di poeta, conosceva le sue umane miserie.

Tutto ebbe inizio qui a Wellawatte, i suoi versi migliori, le sue gesta peggiori. Una sera scendo a fare un giro tra le stradine di Wellawatte, desolante gonfiore di una città senza profilo. Modesti grattacieli soffocano le poche vecchie abitazioni rimaste infossate tra due pareti di cemento. Ingressi pretenziosi di alberghi tirati su in fretta e luci fioche di vetrine soffocate che esalano l’ultimo respiro di un commercio d’altri tempi. Ciuffi di verde escono da un muretto diroccato di fronte a pareti di vetro, strade dissestate e vialoni senza fisionomia. Resiste qualche traccia di spiaggia con poche palme striminzite.

Pur nella sua confusa struttura urbanistica, indefinibile e deprimente, in Galle Road si vedono vetrine di gioiellerie con appariscenti proposte per matrimoni popolari. È un quartiere con una forte densità di Tamil. E oltre il ponte pedonale incontro Bookland, guardo attentamente la vetrina ma non vedo libri di Neruda, e la libreria è chiusa. Tra queste viette, allora fatte di capanne primitive, girava il giovane poeta con la sua affezionata mangusta che di notte gli dormiva sul collo.

Pablo Neruda tornò a Colombo nel 1957, invitato a una conferenza di pace. Oramai era diventato un personaggio importante, i suoi libri raccoglievano vasti riconoscimenti internazionali ed era stato eletto in senato per il suo impegno politico.

Il ritorno del poeta

«Me ne andai in esplorazione per le stradine in cerca della casa in cui ero vissuto, nei sobborghi di Wellawatte. Feci fatica a trovarla. Gli alberi erano cresciuti, il fondo della strada era cambiato. Il vecchio edificio in cui avevo scritto dolorosi versi sarebbe stato demolito di lì a poco. Le porte erano marce, l’umidità del tropico aveva danneggiato i muri, ma la casa mi aveva atteso in piedi per quest’ultimo minuto d’addio. Non trovai nessuno dei miei vecchi amici. Eppure l’isola mi toccò il cuore come allora, con il suo tagliente suono, con il suo immenso scintillio. Il mare continuava a cantare lo stesso antico canto sotto le palme, contro le scogliere».

Erano passati quasi trent’anni dal suo primo arrivo, quando in quel bungalow che stava per sparire aveva composto “Residencia en la tierra”:

«Io lavoro di notte, circondato di città / di pescatori, di vasai, di defunti bruciati / con zafferano e frutta, avvolti in mussoline scarlatte: / sotto il mio balcone quei morti terribili / passano suonando catene e flauti di rame, / stridenti e fini e lugubri fischiano / tra il colore dei pesanti fiori avvelenati / e il grido dei cinerei ballerini / e il crescere dei tam tam / e il fumo dei legni che ardono e odorano».

Al suo ritorno in quel quartiere venne preso da una profonda malinconia. Amarezza per la scomparsa di alcuni luoghi, ma soprattutto per la scomparsa del tempo in cui era stato felice. Oggi a Wellawatte sono passati quasi novant’anni da quando il giovane poeta smarrito e pieno di speranze arrivò qui. I cambiamenti che posso vedere io sono radicali, inimmaginabili ai tempi di Neruda che allora scriveva: «Al mattino il miracolo di quella natura appena lavata mi sbalordiva».

Oggi lì c’è una spiaggia inquinata, aggredita da una suburbia che si gonfia per abulia di cemento e spinge le costruzioni verso il mare. A quel mare un tempo Neruda aveva chiesto amicizia:

«Oh mare, come ti chiami, / oh compagno oceano, / non perdere / tempo e acqua, / non scuoterti tanto, / aiutaci, / siamo i piccoli pescatori, / gli uomini della riva, / abbiamo freddo e fame, / sei il nostro nemico, / non colpire così forte, / non gridare a questo modo, / apri la tua cassa verde / e offri a tutti noi / tra le mani / il tuo regalo d’argento: / il pesce di ogni giorno».

Lo tsunami

Da quel mare il 26 dicembre del 2004 arrivò la morte. Lo tsunami colpì in modo particolare Wellawatte, colpì le abitazioni che si erano spinte troppo avanti in un gesto di sfida verso la potenza delle acque.

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