
Parità di Genere / Como città
Sabato 08 Marzo 2025
Parità di genere: cosa ne pensa la nostra comunità?
La parità di genere è un tema di cui si parla sempre più, ma come viene percepita nella vita di tutti i giorni? Per rispondere a questa domanda, abbiamo lanciato un sondaggio. Oggi vediamo i risultati
Per cercare di comprendere meglio come questo tema venga percepito (e non solo perché rappresenta un diritto fondamentale), abbiamo lanciato un sondaggio, raccogliendo opinioni, esperienze e riflessioni sulla situazione attuale.
L’obiettivo è stato aprire un dialogo sulla parità di genere, affrontando temi chiave che toccano ognuno di noi. Non vuole (e non può) essere un’indagine scientifica ma abbiamo voluto scattare una fotografia della percezione della parità di genere nella comunità. Lo abbiamo fatto con una serie di domande che fanno riflettere su questioni che spesso diamo per scontato: dagli stereotipi di genere alle disparità nel lavoro, da quanto può influire l’aspetto fisico alle aspettative sociali che uomini e donne si portano dietro, senza tralasciare la percezione di sicurezza o insicurezza a camminare per strada soli o rendere i mezzi di trasporto la sera. E abbiamo scavato ancora un po’ nelle convinzioni ancora diffuse. Per esempio, l’idea che una donna leader sia inevitabilmente aggressiva o che un uomo che piange sia da considerare un debole. Dal binomio “donne e motori” alle domande “fastidiose” sul quando a matrimonio e figli, fino alla gestione dei soldi e della casa.
Al nostro progetto hanno risposto 782 persone, tra cui 420 (53,7%) donne e 357 uomini. Il 53% dei partecipanti ha un’età compresa tra i 45 e i 64 anni.
Ora, è il momento di esplorare insieme cosa è emerso.
Cosa ci dicono i risultati
Comprendere se l’aspetto fisico e i pregiudizi legati al sesso influenzano la vita quotidiana può costituire un primo passo per avviare una riflessione più profonda verso una trasformazione culturale che mette al centro il valore delle potenzialità individuali e che va oltre le apparenze. Circa 347 persone su 780 (44,48%) ritengono che l’aspetto fisico di un uomo abbia un impatto rilevante nella vita di tutti i giorni. In altre parole, poco meno della metà dei partecipanti percepisce caratteristiche fisiche come altezza, muscolatura e una cura dell’aspetto estetico possano determinare le opportunità professionali e relazionali. Questo dato suggerisce che, pur riconoscendo alcuni vantaggi legati a un’immagine “curata”, la percezione dell’uomo non è necessariamente collegata (e ridotta) a un semplice insieme di tratti estetici.
Il quadro si fa diverso quando si passa all’aspetto fisico delle donne: 540 su 779 (69,31%) rispondenti sono convinti che l’apparenza abbia un peso significativo nelle opportunità di lavoro e nelle relazioni. La maggioranza percepisce, infatti, che una donna attraente possa beneficiare di un giudizio più favorevole, sottolineando come gli standard di bellezza continuino a influenzare le dinamiche sociali in maniera marcata rispetto a quanto accade per gli uomini.
Abbiamo chiesto se i partecipanti attribuiscono automaticamente caratteristiche positive o negative alle persone basandosi sul sesso. Il 65,2% ha affermato di non farlo, mentre il 30,3% ha ammesso di cadere in questi stereotipi. Questo contrasto mette in luce come, nonostante la consapevolezza degli stereotipi, una parte significativa degli intervistati cede a preconcetti legati al genere.
La gestione finanziaria
Un ulteriore spunto di riflessione emerge dalla quasi totalità di chi possiede un conto corrente (97,7% dei 782 rispondenti). Tra le sole 12 persone che hanno dichiarato di non possederne uno, spiccano le donne (10 casi) e, in particolare, quelle con più di 45 anni (7 casi). Pur rappresentando una minoranza, questo dato suggerisce che, in determinate fasce d’età e in relazione al genere, possono esistere ancora delle discrepanze nell’accesso o nell’uso dei servizi finanziari.
Il lavoro
Quando si chiede se uomini e donne devono avere ruoli ben definiti in casa o sul lavoro esclusivamente in base al genere, il risultato è schiacciante: il 93,3% degli intervistati si oppone a questa visione. Tale risposta indica una forte tendenza a superare vecchie abitudini e a riconoscere che le competenze e le responsabilità non dovrebbero essere limitate dal genere.
Solo il 25,6% degli intervistati ritiene che alcuni lavori siano più indicati a un genere rispetto all’altro. Mentre, quando si parla di una donna e della sua professione, emerge una certa ambivalenza: il 49,5% degli intervistati tende a utilizzare la forma maschile (es. “sindaco” o “avvocato”), mentre il 42,2% preferisce declinare il titolo al femminile. Nonostante la sensibilità crescente verso l’uso di una lingua inclusiva, resta ancora una fetta significativa di popolazione che adotta una terminologia tradizionale, forse anche per abitudine.
Un aspetto critico emerge quando si indaga sulle opportunità di successo: il 68,7% degli intervistati non crede che uomini e donne abbiano le stesse possibilità di carriera. L’ambiente lavorativo si conferma quindi come il contesto in cui le disparità di genere emergono in maniera più evidente. Il 78,5% degli intervistati ha infatti individuato il lavoro come il luogo privilegiato in cui si manifestano. Stipendio, maternità, essere donna, mansioni, opportunità di crescita e di considerazione sono le più gettonate tra le nostre lettrici e i nostri lettori.
La sicurezza
La sicurezza è un tema che da sempre alimenta il dibattito pubblico. Come viene percepita? Anche qui le risposte non destano dubbi. Per quanto riguarda il rientro a casa la sera, ben l’82,7% dei partecipanti preferisce l’auto, mentre solo il 12,3% opta per camminare e un modesto 5% sceglie i mezzi pubblici. Il 54%, inoltre, non si sente a proprio agio nel prendere il treno da sola/o la sera. Questo dato riflette un timore concreto nei confronti degli spazi condivisi durante le ore notturne e sottolinea come le infrastrutture di mobilità sono percepite come ambienti poco sicuri, contribuendo a rafforzare l’idea della necessità di soluzioni personalizzate per sentirsi protetti.
Il dato relativo al camminare in solitudine in città – con il 28,1% che ritiene tale esperienza “non normale” – evidenzia come, nonostante l’apparente libertà che le aree urbane possono dare, esiste un senso di vulnerabilità. Analizzando il comportamento dei partecipanti quando sono in giro da soli emerge che il 58,1% afferma di evitare le cuffie, preferendo restare sintonizzato sui movimenti attorno a sé. Questa scelta può essere interpretata come una strategia di autodifesa.
Il tema della colpevolizzazione della vittima in caso di episodi di violenza o abuso mostra una netta tendenza a respingere questa idea, con il 64,1% degli intervistati che nega qualsiasi responsabilità della vittima contro il 27,6% che in qualche misura vi ha pensato. Se da una parte c’è una chiara condanna dell’atteggiamento colpevolizzante, dall’altra una quota non trascurabile di persone sembra ancora intrappolata in vecchi stereotipi.
Educare alla parità di genere: le risposte aperte
Cosa fare, dunque, per combattere le disparità di genere? Il 62% dei partecipanti ritiene fondamentale educare sulle questioni legate alla parità di genere.
«Campagne di sensibilizzazione e norme lavorative più eque» è un esempio di risposta aperta che abbiamo ricevuto. In ambito lavorativo si suggeriscono interventi concreti, come l’adozione di campagne di sensibilizzazione e norme lavorative più eque, nonché misure di sostegno alla genitorialità e alle famiglie, per evitare che il carico degli oneri ricada esclusivamente sulle donne. «Ad esempio più forme di sostegno alla genitorialità». Osservazioni che sono in linea con le dichiarazioni delle interviste raccolte dagli studenti.
Altro ambito su cui puntare i riflettori è la meritocrazia: una risposta aperta ha richiamato l’attenzione sul conflitto tra un sistema basato sul merito e l’applicazione di quote di genere, sostenendo, invece, la necessità di puntare alle pari opportunità attraverso strumenti di welfare in azienda.
«Leggi che controllino la parità di salari, formazione continua dalle scuole». Emerge, inoltre, la necessità di normative che garantiscano equità, come il controllo sulla parità dei salari e l’introduzione di percorsi di formazione continua.
Il tema del rispetto si declina in proposte volte a educare fin dalla tenera età e a favorire una maggiore sensibilizzazione, sia attraverso attività ludiche sia con una rappresentazione più inclusiva nei media, promuovendo così una cultura di consapevolezza e rispetto per la persona in ogni contesto.
Insomma, l’attenzione deve restare alta. «L’arco morale dell’universo non si piega da solo»: una citazione del celebre discorso del 28 agosto 1963 di Martin Luther King – e poi ripresa da Obama – ci risuona potente ancora oggi. La rivoluzione non si basa su grandi battaglie solitarie, ma c’è bisogno dell’aiuto di tutti. Ogni parola, gesto e scelta quotidiana è un mattoncino per costruire una società più giusta e umana.
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