Asintomatica e pericolosa: epatite c, casi in aumento

Salute È considerata tra le principali cause di cirrosi e cancro del fegato: in Lombardia ne soffrono circa 150mila pazienti

L’Epatite cronica da Hcv (Hepatitis C Virus) è un’infezione che spesso non dà sintomi, ma è tra le principali cause di cirrosi e cancro del fegato in Italia. Fino al 2015, in Italia moriva una persona ogni 30 minuti per le conseguenze di questa patologia. Si calcola che nel nostro Paese circa tra l’1% e l’1,5% della popolazione ne sia affetta. In Lombardia si stima che circa 150mila persone presentino l’infezione da Hcv. Molte delle infezioni però rimangono non diagnosticate.

Oggi, fortunatamente, sono disponibili cure con farmaci che, somministrati per via orale per 8-12 settimane, portano alla guarigione in circa il 95% dei casi, con scarsi effetti collaterali. Per poter effettuare una diagnosi precoce e intervenire tempestivamente contro questa infezione, il Ministero della Salute ha promosso una campagna di screening per Epatite C in tutti i soggetti nati tra il 1969 e il 1989, a cui Regione Lombardia ha aderito.

Per via parenterale

«A differenza di quanto molti pensano – spiega Federica Invernizzi, epatologa dell’Irccs Ospedale San Raffaele – il virus dell’epatite C è ancora presente anche nel nostro Paese e, per una serie di fattori, la curva dell’incidenza che per anni è stata in riduzione ultimamente sta risalendo ai livelli del 2017». Un maggior numero di casi che è legato a una maggiore diffusione di screening per la malattia, ma anche per una crescente abitudine degli italiani a ricorrere a trattamenti estetici in strutture non sempre certificate o idonee dove può avvenire il contagio.

«L’epatite C – precisa la specialista – si trasmette per via parenterale, attraverso il contatto diretto con sangue infetto da Hcv e, più raramente, attraverso fluidi corporei. Tra le forme di contagio più frequenti c’è lo scambio di siringhe tra persone che fanno uso di droghe per via endovenosa. Ma la trasmissione può avvenire anche a seguito di tatuaggi e piercing, manicure e pedicure, così come altri trattamenti di tipo estetico. Il contagio può avvenire anche per via nosocomiale».

L’infezione, come detto, è spesso asintomatica, per questo il contagio può progredire nel tempo in una malattia del fegato senza che la persona abbia segnali evidenti precoci. «Solo il 30% delle persone che si infettano – prosegue il medico – eliminano spontaneamente il virus entro sei mesi senza trattamento, quindi, è chiaro che la stragrande maggioranza dei casi, il 70%, può avere un’infezione cronica che alla lunga può portare a una malattia del fegato con conseguenze anche gravi».

L’Oms stima circa 1,5 milioni di nuovi casi nel mondo con circa 80 milioni di malati cronici. Tra i paesi con il maggior numero di casi ci sono l’Egitto, il Pakistan e la Cina. L’Italia, secondo i dati diffusi dall’Istituto Superiore di Sanità, è il paese Europeo con il numero più alto delle morti correlate all’epatite C riportate in passato e con il più alto numero dei trattati dal 2015 ad oggi (oltre 251mila pazienti trattati hanno eliminato del tutto il virus), riducendo così in modo significativo il peso della malattia da epatite C in Italia.

«A oggi – dice ancora Invernizzi – non esiste un vaccino, ma grazie ai nuovi farmaci, che sono degli antivirali a azione diretta, il virus viene debellato in poche settimane nella maggior parte dei casi e senza particolari effetti collaterali, ecco perché è fondamentale aderire alla campagna di screening. La prevenzione dell’infezione sta nell’adozione di misure igieniche volte a evitare il contatto con sangue contaminato ».

Il test di screening prevede un prelievo di sangue per la ricerca degli anticorpi anti-Hcv. In caso di positività verrà effettuata la ricerca di Hcv-Rna per la diagnosi di certezza dell’infezione attiva. Una volta confermata la presenza del virus viene analizzato anche il genotipo che è utile in termini terapeutici.

Il test di screening ha il beneficio di identificare pazienti affetti da epatite C, permettendo quindi di eseguire una diagnosi precoce e avviare i pazienti alla cura di tale infezione. Il trattamento dell’epatite C permette di prevenire lo sviluppo di una malattia del fegato e delle sue complicanze (cirrosi, tumore del fegato). E’ possibile conoscere le strutture che aderiscono allo screening consultando il sito web della Ats di riferimento.

Il periodo “finestra”

Esiste un periodo finestra per sottoporsi ad accertamenti con test anticorpale se una persona sa di aver avuto un contatto. Una volta terminata la terapia viene stabilito un programma di controlli per verificare che ci sia stata una negativizzazione sostenuta nel tempo e, a seguito di un certo periodo di monitoraggio, il paziente viene dichiarato completamente guarito dall’infezione.

«L’obiettivo dello screening è così quello di andare a intercettare le persone con il virus – conferma il medico – per curare questi pazienti e per riuscire a debellare l’epatite C che, come detto, esiste ancora. Basti pensare che nel 2022 in Italia si è registrata un’incidenza di 0,11 casi ogni 100mila abitanti e tra le principali vie di contagio ci sono stati i trattamenti estetici». Come sottolinea la specialista, infatti, nonostante appelli e campagne di informazione, sono ancora molte le persone che si rivolgono a strutture non autorizzate o dove non vengono rispettate le norme igieniche per sottoporsi trattamenti estetici a basso costo, ma anche per manicure, pedicure, tatuaggi e piercing. «Quando si va a fare un tatuaggio, ad esempio – sottolinea l’epatologa – bisogna accertarsi non solo che il tatuatore utilizzi un ago sterile, ma che anche il boccettino dell’inchiostro sia monouso. Questo perché se si usa un boccettino per più tatuaggi con l’immersione di aghi differenti può esserci comunque un rischio di contagio».

Una prognosi migliore

Invernizzi spiega anche che grazie ai nuovi farmaci, che sono coperti dal Sistema Sanitario Nazionale, è cambiata la qualità d vita dei pazienti. Prima del 2015, infatti, veniva utilizzato l’interferone ma questo tipo di terapia non poteva essere somministrata a tutti i pazienti e aveva anche importanti effetti collaterali, oltre che un tasso di risposta più basso. «Questi farmaci – conclude – hanno permesso di migliorare la prognosi dei pazienti affetti da Hcv fermando la progressione di danno epatico e, in ultimo, cambiando l’indicazione al trapianto di fegato in Italia che oggi è più frequente per altre patologie. Va detto però che l’associazione di epatite C con abuso di alcol, diabete o obesità, fa si che il rischio di incorrere in una malattia di fegato avanzata (anche una volta eliminato Hcv) sia maggiore».

Dalla specialista anche l’invito a chi sa di avere un’infezione cronica da epatite C che in passato non era stata trattata e/o guarita con interferone a presentarsi nei centri specializzati in modo da poter iniziare subito una terapia mirata con i nuovi farmaci.

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