I bambini e le “nuove” epatiti speranze dalla ricerca

L’infettivologo Spinello Antinori: «Preoccupano in generale quelle forme che portano a infezioni croniche. Ma in questi anni si sono compiuti passi importanti sul fronte della prevenzione. E presto avremo nuovi farmaci»

Le recenti forme di epatite acuta pediatrica dalla causa ancora ignota preoccupano mamme e papà. Sull’aumento dei casi è stata costituita un’unità di crisi per monitorare attentamente la situazione. Lo ha stabilito un decreto del ministero della Salute, che lavora per uniformare e coordinare le misure di controllo e sanità pubblica sul territorio nazionale.

Anche nella nostra provincia, al Sant’Anna di San Fermo e al Fatebenefratelli di Erba, sono stati individuati due casi su piccoli di tre e diciassette mesi.

Professor Spinello Antinori, direttore del reparto di Malattie infettive al Sacco di Milano e consigliere lombardo della Società italiana malattie infettive e tropicali: quanto è ragionevole allarmarsi?

In questo momento è in atto una sorveglianza attiva, come notificato dal ministero della Salute e dalla Regione. C’è una grande attenzione ed è un bene, tutti i quadri sospetti vengono segnalati e comunicati con prontezza. Ma questi casi dalla causa ignota si verificavano anche prima. Anche prima i pediatri vedevano epatiti pediatriche dalle cause non identificate. Gli studi fatti fino ad ora hanno individuato in una quota importante dei soggetti colpiti la presenza di adenovirus, la tipologia 41 in particolare, che però non sembra essere sufficiente per spiegare queste forme acute. Potrebbe dunque esserci un altro fattore scatenante.

Sempre un virus?

Le principali forme di epatite note si dicono virali perché è sempre un virus a scatenare questa malattia. I virus responsabili normalmente ricercati sono stati denominati con le lettere dell’alfabeto A, B, C, D ed E. Occasionalmente però possono esserci anche altri virus che scatenano quadri acuti. Per esempio il citomegalovirus, il virus della varicella o del morbillo anche se davvero raramente.

Come funziona l’epatite?

I virus responsabili dell’epatite colpiscono direttamente il fegato. Sono virus epatotropi primitivi, significa che il loro bersaglio sono le cellule del fegato. Danneggiano il fegato e possono portare a forme croniche e alla cirrosi.

Anche a malattie tumorali?

Sì, è dimostrato soprattutto per l’epatite B che la malattia può portare all’insorgenza di epatocarcinomi e dunque la patologia può associarsi ad un cancro al fegato.

Quali sono le differenze tra le diverse epatiti?

Intanto la modalità di trasmissione. Le epatiti A ed E sono causate da virus che si trasmettono per via fecale e orale. Mentre i virus responsabili dell’epatite B, C e D sono a trasmissione parenterale, quindi degli scambi di sangue. Le trasfusioni ormai sono molto controllate, ma si pensi alle siringhe, agli incidenti di laboratorio. L’epatite B poi si trasmette sessualmente ed anche verticalmente. Quindi dalla madre al concepito. Oggi però esiste la vaccinazione per la prevenzione dell’epatite B, anche chi nasce da una madre portatrice viene vaccinato immediatamente dopo il parto con un rischio che si abbatte quasi a zero.

Ci sono vaccini per tutte le epatiti?

No, per l’epatite C e l’epatite E non esistono vaccini. Mentre la vaccinazione contro l’epatite B è stata introdotta nel 1981 ed ha con forza ridotto la prevalenza della malattia. Chi è vaccinato è protetto e non si ammala. La vaccinazione anti epatite B è in grado anche di prevenire l’epatite D. Inoltre disponiamo di vaccini contro l’epatite A, in genere somministrati prima di partire per Paesi in via di sviluppo.

Perché non esistono vaccini contro tutte le epatiti?

Perché non siamo ancora stati in grado di metterli a punto. Non per tutte le malattie virali esistono le vaccinazioni. Però contro l’epatite C ci sono terapie molto efficaci, che eradicano l’infezione nel 98% dei pazienti in poche settimane e senza effetti collaterali, al contrario dei vecchi farmaci. E dunque anche l’epatite C è destinata a scomparire. Presto se riusciamo ad individuare con degli screening i soggetti portatori.

Quali screening?

In questi anni è stato compiuto un grande sforzo verso la prevenzione. Per cercare di far emergere tutti i pazienti portatori del virus dell’epatite C così da poterli trattare con i nuovi farmaci e risolvere la malattia. Rimane infatti una quota di soggetti non identificati. Il virus in queste persone può rimanere silente per anni, senza dare disturbi o manifestazioni. Dunque a livello ministeriale e regionale sono state avviate delle campagne di screening su particolari target, sui nati tra il 1969 e il 1989, nei centri per la dipendenza e nelle carceri.

In cosa consiste lo screening?

È un test molto facile, come i test rapidi sierologici che abbiamo imparato ad usare per il Covid. Non a caso la Lombardia ha organizzato un progetto pilota per sottoporre i due test in associazione. Comunque fatto il sierologico rapido con la goccia di sangue in caso di positività all’epatite viene suggerito un esame di laboratorio più approfondito come conferma.

Quale tipo di epatite preoccupa di più?

Preoccupano in generale quelle forme che portano ad infezioni croniche, che non guariscono e lasciano un danno al fegato. Per esempio il problema più complicato rimane con l’epatite B per la quale al netto della vaccinazione non abbiamo dei farmaci capaci di eradicare l’infezione. Possiamo controllare, evitare la progressione, ma non riusciamo ad eliminare completamente la presenza del virus dal fegato. Anche l’epatite D è pericolosa. Il virus che scatena questa forma di epatite è particolare perché è difettivo. Ha bisogno del virus dell’epatite B per iniziare la sua infezione, ma è responsabile di quadri molto gravi che diventano rapidamente cronici in assenza di terapie davvero efficaci.

Speranze?

A breve avremo a disposizione il farmaco Bulevirtide per il trattamento dell’epatite B e D. È un farmaco che impedisce l’accesso del virus nella cellula epatica. Gli studi fatti fino ad ora danno buoni risultati. Certo è un presidio da somministrare per via sottocutanea, è meno semplice rispetto alle terapia con le classiche pastiglie. In più bisogna utilizzarlo per periodi prolungati e non è ancora chiaro quanto a lungo debba durare la cura. Insomma è una buona notizia, ma ci sono degli aspetti da chiarire.

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