Il peso delle tragedie sulla psiche: scatta il “doomscrolling”, l’ossessione per le cattive notizie

Approfondimento Tra guerre, alluvioni e pandemie sempre più persone manifestano paura di affrontare la realtà e a pagarne lo scotto è l’equilibrio psicologico

La pandemia, la guerra in Ucraina e le immagini catastrofiche delle alluvioni in Emilia-Romagna hanno senza dubbio toccato un po’ tutti. Di fronte a situazioni drammatiche e complesse però alcune persone, soprattutto le più fragili come gli anziani, possono manifestare paura di affrontare la realtà, perché quello che li circonda è doloroso e difficile. Tutto ciò li porta a isolarsi con sé stessi rimanendo per esempio chiusi in casa a guardare notizie e immagini catastrofiche.

È fondamentale intercettare questi segnali di disagio e chiedere aiuto a un esperto per evitare che la situazione possa aggravarsi o cronicizzarsi. Parlando di anziani, in particolare, sono diverse le motivazioni che possono esserci dietro a queste paure, spesso incontrollate, di affrontare la realtà.

A tutte le età

«Pensiamo ad esempio a una persona che ha vissuto la guerra – spiega Camilla Cappini, psicologa e psicoterapeuta presso gli Istituti Clinici Zucchi di Monza – e che ora, guardando la televisione e le immagini pubblicate sui giornali di quanto sta accadendo in Ucraina, ha una sorta di flashback di quanto vissuto anni fa». Un evento stressante del passato potrebbe tornare alla mente. «Si possono riattivare dei circuiti della memoria – prosegue – e questo può scatenare sintomi di paura, di ansia, di qualcosa che si pensava passato ma che in realtà potrebbe tornare nel nostro presente se non sufficientemente digerito ed elaborato».

In alcuni casi si può parlare della riattivazione di un ricordo traumatico oppure dello sviluppo di un Disturbo Post Traumatico da Stress che si sviluppa proprio a seguito di un evento che interrompe il flusso continuo della vita naturale di una persona portando a evitare situazioni che ricordano il trauma e nello sviluppo di ricordi ricorrenti di un evento traumatico opprimente che interferiscono con le normali attività quotidiane (come una guerra, una catastrofe ambientale, un episodio violento, un lutto). Il ricordo stesso scatena sentimenti di paura, impotenza e terrore. Si tratta di un disturbo che da molti anni gli esperti hanno imparato a conoscere e ad approfondire e che ha visto negli anni diversi tipi di approccio terapeutico. Di disturbo post traumatico si è sentito parlare anche a seguito della pandemia da Covid-19, che a tutti gli effetti è stata una guerra contro un nemico invisibile. Spesso il sintomo cela un’impossibilità di fare i conti con il proprio limite e sentimenti di impotenza.

La dottoressa cita Primo Levi che descriveva bene questa condizione di paura nello stralcio di un suo scritto: “Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, i suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso” (Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino, Einaudi, 2005).

Queste situazioni non interessano solo la popolazione più anziana, possono emergere a tutte le età. «Parlando sempre di Covid e di immagini o video di situazioni drammatiche – dice ancora la dottoressa Cappini – uno degli effetti che stanno monitorando i ricercatori è quello che viene definito “doomscrolling” e che si è accentuato proprio dopo la pandemia». Si tratta di un neologismo entrato nell’Oxford dictionary nel 2020 che indica la tendenza a cercare in modo ossessivo cattive notizie online scorrendo con lo schermo dello smartphone. Una tendenza che ha colpito in particolare persone fragili che già soffrivano di ansia e di depressione. «Non si tratta di una patologia vera e propria – aggiunge la psicologa e psicoterapeuta – ma senza dubbio è un fenomeno che si sta diffondendo e che per questo viene tenuto sotto osservazione da parte degli esperti». Un’altra questione ancora è quella dei cosiddetti Hikikomori, Giovani che tendono ad isolarsi socialmente spesso anche in videogiochi che portano tematiche violente.

Il neonato che ha fame

Ma perché succede tutto questo? «Ogni persona – spiega – reagisce al mondo che la circonda in base a quella che è la sua struttura di personalità, alla sua storia personale ma anche alla rete sociale che lo circonda. Quando l’ambiente in cui siamo cresciuti è stato inadeguato a fornire soluzioni necessarie allo sviluppo di un’identità stabile che permetta una buona elaborazione dell’angoscia e un buon incontro con l’altro, allora possono verificarsi queste situazioni». La psicologa utilizza come paragone quello di un neonato che ha fame, non sa parlare, e si ritrova di fronte a un adulto che non riesce a capire quello di cui lui ha bisogno. Questa mancata risposta suscita nel bambino terrore. Ci sono persone, e sono spesso persone sole e che hanno pochi rapporti sociali, che non hanno quella struttura adatta a interpretare nel giusto modo le immagini. «Invece di vivere la realtà – dice ancora la dottoressa Cappini – come qualcosa di esterno a loro, ci si immergono e vivono ansie, angosce, paure e terrore. Questo accade perché da soli non riescono a interpretare nel giusto modo le cose mettendovi un filtro, e perché non c’è nessuno che gli dica che stanno guardando delle immagini alla tv, che sono reali, ma che quello che stanno vivendo non sta succedendo a loro».

Isolamento, paure e angosce, non devono mai essere sottovalutate, perché potrebbe esserci alla base una patologia come la depressione o altri disturbi che vanno diagnosticati e seguiti con percorsi specifici che mirino a portare la persona anche all’incontro con il limite e a prendere contatto con un proprio sano desiderio di vita. Il supporto di uno psicologo psicoterapeuta è via importante ma, come sottolinea l’esperta, possono rendersi necessari anche trattamenti farmacologici, visite specialistiche con uno psichiatra e supporto domiciliare.

Buone relazioni sociali

«Ovvio che ogni caso è a se – precisa la dottoressa – e che quindi il percorso terapeutico è differente da persona a persona. Oggi ci sono servizi pubblici e privati, così come associazioni, che possono essere un punto di riferimento». Le Terapie Psicodinamiche di orientamento Psicoanalitico, ad esempio, hanno la funzione riparativa di rendere dominabile la paura e di conseguenza di contrastare l’angoscia aiutando ad interiorizzare una fiducia di base.

«La cura analitica – prosegue – è un’opportunità di contenimento di angosce intollerabili e fornisce un ambiente adeguato, uno spazio potenziale, dove è possibile un cambiamento. Queste cure possono essere individuali o anche di gruppo, il gruppo offre la possibilità di lavorare attraverso la condivisione del dolore, che Francesco Corrao aveva definito Koinonia, dal Greco Antico, per ripartire». Inutile, invece, evitare situazioni che possano provocare sentimenti di ansia e di angoscia, sarebbe solo rimandare il problema rimanendo da soli con le proprie fantasie.

«In termini generali – dice ancora – alcuni consigli possono essere quelli di circondarsi di buone relazioni sociali, di non restare soli. Anche fare delle cose buone per gli altri può essere molto utile, soprattutto per uscire da situazioni eccessivamente autoreferenziali».

Comportamento diametralmente opposto è quello di persone che di fronte ad aspetti drammatici della vita altrui provano una sensazione di piacere. Questo potrebbe essere dovuto all’incapacità di elaborare propri aspetti invidiosi probabilmente a causa di una deprivazione affettiva.

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