L’energia magnetica che fa bene al cervello

La tecnica Da semplice strumento di diagnosi a vera e propria terapia. Oggi la stimolazione transcranica cura anche malattie come l’Alzheimer

Da strumento di diagnosi a vera e propria terapia. Nel corso degli anni sono sempre più numerosi gli ambiti in cui la stimolazione magnetica transcranica viene utilizzata come cura. Non solo per il trattamento della depressione, oggi questa metodologia viene impiegata anche su pazienti con problemi di dipendenze, ma anche in percorsi riabilitativi in malati di Alzheimer, Parkinson o persone colpite da ictus.

«La stimolazione magnetica transcranica non è una novità, in quanto la si sta utilizzando nell’ambito della neuropsichiatria da circa quarant’anni – conferma Stefano Pallanti, fondatore dell’Istituto Neuroscienze di Firenze e direttore del Centro Neuroscienze della Salute presso Zucchi Wellness Clinic di Monza –. Inizialmente però era utilizzata come strumento diagnostico che serviva per valutare il funzionamento di alcune funzioni del sistema nervoso centrale e periferico, poi ci si è accorti che il passaggio dell’energia magnetica aveva un effetto sui tessuti e quindi poteva essere utilizzato con finalità terapeutiche». Ma come funziona? Nella terapia con stimolazione magnetica transcranica uno strumento chiamato “stimolatore” fornisce energia elettrica ad un coil (ansa) magnetico che genera un campo magnetico a livello cerebrale per un breve periodo di tempo. Il campo magnetico prodotto dal coil passa senza ostacolo attraverso lo scalpo fino all’encefalo, senza alcuna dispersione ed in modo pressoché indolore, potendo pertanto raggiungere le strutture cerebrali sottostanti, in particolare la corteccia cerebrale, e modificarne l’attività elettrica in modo da migliorare i sintomi dei disturbi da trattare.

Il coil è posto sul capo in modo tale da permettere al campo magnetico di raggiungere la regione del cervello di interesse. Lo stimolo magnetico produce una risposta registrabile, che si manifesta con un rumore simile ad una serie di clic ed una sensazione tipo formicolio sulla pelle del capo.

«Negli ultimi 15 anni – prosegue il professore - sono stati centinaia gli studi a livello internazionale che hanno riconosciuto, approvato e avvalorato l’utilizzo della stimolazione in ambito terapeutico. La tecnica va a lavorare sulla connettività cerebrale con un metodo personalizzato». Come spiega il professore , ancora oggi nell’idea comune il disturbo psichiatrico viene inteso come disturbo “mentale”, ma la realtà è che oggi è noto che si tratta di disturbi della connettività cerebrale e cioè di come i circuiti delle diverse aree del cervello lavorano in connessione tra di loro.

«A seconda dell’energia impiegata – precisa lo specialista – possiamo aumentare o ridurre questa connettività, in maniera terapeutica, per ripristinare la funzione. Questo perché per ciascuna condizione, dalla depressione, all’uso di sostanze o al disturbo alimentare, sappiamo quali sono i circuiti implicati in questi meccanismi». Come detto il trattamento è personalizzato in quanto, a seguito della diagnosi, grazie ad Immagini di risonanza magnetica è possibile eseguire una neuronavigazione, ecco perché è importante rivolgersi a centri specializzati dove oltre alla presenza di esperti qualificati sono disponibili macchinari all’avanguardia. «Andiamo a individuare i punti da trattare – dice ancora – e a calcolare lo stimolo da inviare su questi punti, valutando la soglia utile a evocare il tipo di reazione in quel determinato soggetto. Questa personalizzazione del trattamento consente di ridurre anche gli effetti collaterali che si hanno con alcuni farmaci come l’aumento di peso o implicazioni della sfera sessuale, ma anche il senso di sedazione».

Il trattamento può essere impiegato sia in pazienti in cui c’è una resistenza o una intolleranza alla terapia farmacologica, ma anche in associazione ai farmaci. In questo ultimo caso la terapia farmacologica stessa verrà modulata tenendo contro del fatto che va a integrarsi con il contesto magnetico.

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