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Mercoledì 16 Ottobre 2024
Maledetta depressione, casi in aumento tra i giovani
Salute Anche in Italia assistiamo a una crescita dei disturbi depressivi e di ansia: un trend preoccupante. Lo psichiatra: «La metà delle persone che avrebbero bisogno di un trattamento non arriva nemmeno a chiederlo»
Secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità il 6% degli adulti italiani riferisce sintomi depressivi. Se per alcune fasce di età i dati sono in diminuzione, si nota, invece, un aumento nelle persone tra i 18 e i 34 anni. Si conferma pertanto la necessità di incrementare le risorse destinate ai Dipartimenti di Salute Mentale (Dsm). I disturbi riconducibili a problematiche di salute mentale sono moltissimi, ne abbiamo parlato con Massimiliano Dieci, responsabile dell’Unità Operativa di Riabilitazione Psichiatrica degli Istituti Clinici Zucchi di Carate Brianza.
Dottore, si sente sempre più spesso parlare di salute mentale e di come problematiche come ansia e depressione siano in aumento. E’ davvero così?
Sì, è così. Possiamo dire che da decenni stiamo assistendo ad un trend di aumento dei disturbi depressivi e di ansia. A questo si è aggiunta la pandemia da Covid-19 che ha portato ad una ulteriore crescita.
Quali sono gli altri disturbi che, secondo i dati in letteratura, sono in crescita?
C’è un aumento di casi di dipendenza da sostanze, ma anche comportamentali come il gioco patologico o le dipendenze digitali. Aumentano i disturbi della condotta alimentare e di personalità.
Questo aumento è legato anche a un maggior numero di diagnosi?
Questa è un’osservazione corretta. Oggi c’è indubbiamente più attenzione verso queste problematiche, però va detto che c’è un reale aumento di casi tra la popolazione. Questo trend non è solo italiano ma vale per tutto il mondo occidentale. Una delle emergenze riguarda i disturbi dello spettro borderline. In questi casi la persona ha una forte instabilità dell’umore, un’immagine di sé incerta, un discontrollo delle emozioni, talvolta autolesionismo. In molti casi tutto questo si associa a disturbi del comportamento alimentare.
Oggi a che punto siamo per quanto riguarda la diagnosi precoce?
Le diagnosi le sappiamo fare, il problema è che spesso la gente non si fa vedere dallo specialista. Un dato riguardante gli Stati Uniti, ma che è rappresentativo anche del nostro Paese, è che almeno la metà delle persone che avrebbero bisogno di un trattamento non arrivano nemmeno a chiederlo.
Come mai questo avviene?
I motivi sono diversi. In alcuni contesti sociali e culturali c’è ancora uno stigma, in altri, invece, la causa è legata al fatto che la disponibilità di servizi è largamente insufficiente. Pensiamo solo ai tempi per prenotare una prima visita specialistica con il Sistema Sanitario Nazionale, parliamo di 6- 8 mesi per avere un appuntamento con uno psichiatra. In Italia vi è una disponibilità di posti letto per problemi psichiatrici di meno della metà della media europea e si spende per i servizi psichiatrici meno della metà di quello che si spende a livello europeo. Per cui è evidente che c’è un problema di risorse.
Prima citava lo stigma, la sensazione è che oggi ci sia ancora ma solo per alcuni disturbi?
Sì, è vero che lo stigma varia a seconda della problematica. Credo che molti disturbi, come i disturbi di ansia e i disturbi depressivi, siano assolutamente socialmente accettati. In alcuni contesti culturali e sociali, invece, c’è ancora una forma di discriminazione nei confronti di alcune patologie dell’ambito psicotico, quelle più gravi.
Il tema scelto quest’anno in occasione della giornata mondiale è legato al mondo del lavoro, perché? E cosa si auspica?
La prima cosa da dire è che il lavoro è sempre più una fonte di stress e lo stress è un elemento di rischio per l’insorgenza di patologie psichiatriche. Tutti noi siamo sottoposti a pressioni sempre più forti, ci viene richiesto di essere sempre più performanti e qualcuno ce le fa a sopportare questo carico e qualcun altro no. Altro aspetto è che i problemi psichiatrici sono una causa di perdite di efficienza lavorativa e di giornate di lavoro. La depressione è oggi la maggiore causa di disabilità al mondo e ha superato anche le patologie oncologiche e cardiovascolari.
Cosa fare?
Credo che nessuno abbia una soluzione semplice per risolvere una situazione così complessa, negli anni sono stati proposti diversi programmi di sensibilizzazione sul tema ma c’è ancora tanto da fare.
Altra questione sotto i riflettori è legata ai giovani, sempre più spesso protagonisti di vicende gravi riportate dai media. C’è davvero un’emergenza in questo senso?
Un sentire comune tra noi psichiatri è che fare una equivalenza tra disturbi psichiatrici e violenza sia un errore. A meno che si faccia un ragionamento errato, direi controfattuale, cioè considerare qualsiasi gesto incomprensibile frutto di un disturbo psichiatrico. Ma questo modo di pensare non è corretto, mi pare più il tentativo di trovare una soluzione autoassolutoria in termini sociali, di pensare che la violenza non ci riguardi, che solo persone malate possano avere certi comportamenti. Dobbiamo avere il coraggio di dire che purtroppo ci sono persone che non hanno disturbi psichiatrici e che mettono in atto comportamenti gravi fino alla violenza. Il male esiste, mi verrebbe da dire, al di là della psicopatologia.
Quanto conta anche il consumo di alcol o di droga in questi casi?
Alcune sostanze senza dubbio portano a una disinibizione e rendono più probabile che si possano mettere in atto gesti violenti.
Anche voler trovare per forza delle colpe alle famiglie può essere un errore?
Bisogna stare attenti a colpevolizzare le famiglie. È vero che in casi estremi, in cui ad esempio c’è una storia di violenza in famiglia, c’è più probabilità che anche i figli siano violenti, ma non si può dare la colpa di tutto a mamme e papà. Ci sono moltissimi esempi di fratelli cresciuti nello stesso ambiente, uno con problemi a non finire e l’altro con funzionamento adeguato.
Parlando di giovani esistono dei segnali che le famiglie possono intercettare?
Va detto che ogni disturbo ha la sua storia, ma in linea generale credo che dobbiamo essere attenti ai nostri figli, capire se hanno una vita sociale, se sono sereni, se riescono ad avere un buon funzionamento.
Guardando, invece, alla popolazione più in generale, quali sono i campanelli di allarme quando si parla di salute mentale?
Spesso sono proprio i famigliari e le persone vicine ad accorgersi che qualcosa non va. Per la depressione, quella nella sua forma tipica, l’esordio è abbastanza netto, nel senso che c’è una differenza tra un prima e un dopo. Una persona che prima era positiva e attiva improvvisamente perde la voglia di fare, le idee cominciano a essere più pessimistiche, a considerare tutto un problema. A questo si aggiungono anche in sintomi più fisici come modifiche del ritmo sonno-veglia e riduzione dell’appetito.
E per l’ansia?
I sintomi sono un po’ diversi, anche se spesso ansia e depressione si associano. In questo caso le persone possono iniziare ad avere un senso di disagio e tensione quando escono di casa, guidano, o sono in luoghi affollati. In entrambi i casi citati è utile pensare a una consulenza psicologica e psichiatrica.
Parlando di terapie cosa ci può dire?
Oggi abbiamo molte nuove armi a disposizione, anche per le forme cosiddette resistenti e che una volta sarebbe stato molto più difficile curare. Non solo farmaci, ci sono altri strumenti terapeutici, come la stimolazione magnetica transcranica per la depressione o per alcune dipendenze, che ci stanno dando nuove opportunità di cura.
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