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Mercoledì 07 Agosto 2024
Osteoporosi, donne a rischio. La vitamina D per prevenirla
L’intervista Un fattore di rischio da cui guardarsi è la sedentarietà, che impedisce il corretto metabolismo osseo
Si stima che in Italia l’osteoporosi colpisca 5 milioni di persone, di cui l’80% sono donne in post menopausa. Si tratta di una malattia caratterizzata da una progressiva riduzione e modificazione strutturale della massa ossea con compromissione della resistenza delle ossa che predispone a un aumentato rischio di fratture spontanee o indotte da minimi traumi. Ne abbiamo parlato con Andrea Giustina, primario dell’Unità di Endocrinologia dell’Irccs Ospedale San Raffaele e professore ordinario di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo all’Università Vita-Salute San Raffaele.
Professore, molte persone sono convinte che l’osteoporosi sia una conseguenza inevitabile dell’invecchiamento, è realmente così?
Va sottolineato prima di tutto che l’osteoporosi è una malattia perché purtroppo è ancora diffusa nella popolazione la falsa convinzione che, essendo l’osteoporosi collegata alla menopausa, sia per questo un fenomeno fisiologico o comunque parafisiologico. In sostanza, la falsa credenza si fonda sul fatto che la menopausa è un momento inevitabile nella vita di una donna e quindi come tale lo è anche l’osteoporosi.
Il primo passo, quindi, è quello di superare questa convinzione sbagliata? Anche se menopausa e osteoporosi hanno un legame?
Esattamente. L’osteoporosi è una perdita di massa ossea talmente grave da aumentare significativamente il rischio di frattura. Con la menopausa vi è una perdita fisiologica di massa ossea ma questa solo in alcuni casi è così importante da determinare l’osteoporosi, cioè una vera e propria malattia anche potenzialmente pericolosa sul piano clinico, visto che sappiamo che è la maggiore causa di fratture ossee nell’anziano. Parliamo di fratture che possono essere molto invalidanti e anche causa di morte.
Come intercettare questo processo in modo che sia il meno impattante possibile?
Sappiamo che nella fase adolescenziale la donna acquisisce massa ossea, fino ad arrivare a una densità minerale ossea massimale, ovvero un picco di massa ossea, attorno ai 20 anni. Questo picco viene mantenuto fino alla menopausa ma ci sono una serie di fattori che, già in età giovanile, possono rendere difficoltoso l’ottenimento o il mantenimento di questo picco.
Per esempio?
Diete rigide, e a basso contenuto di calcio, che non consentono di supportare a sufficienza le ossa, oppure donne giovani con irregolarità del ciclo mestruale che non hanno una corretta estrogenizzazione dell’osso. Donne con celiachia o altre problematiche di assorbimento gastro-intestinale che non riescono ad approvvigionarsi al meglio delle sostanze essenziali per l’osso. Queste donne arrivano all’età della menopausa con un “tesoretto” di osso minore rispetto alle proprie coetanee, quindi, la prevenzione per loro parte proprio da questi fattori di rischio.
In che modo si può intervenire?
Migliorando l’alimentazione e non sottovalutando un ciclo mestruale irregolare rivolgendosi a uno specialista. Per le donne giovani la prima cosa da fare è intercettare e controbilanciare i fattori di rischio.
E per le donne in età più matura?
Quando la donna inizia ad avvicinarsi al momento della menopausa, quindi, ad avere una alterazione del ciclo, è opportuno eseguire una MOC, ovvero una densiometria ossea, per verificare qual è il “tesoretto” di massa ossea all’ingresso in menopausa. Altra cosa da fare è misurare i livelli di vitamina D.
Perché la vitamina D è un ormone così importante per le ossa?
Il metabolismo dell’osso ha una fase cellulare, regolata da estrogeni, in cui gli osteoblasti costruiscono l’osso nuovo che va a sostituire quello vecchio riassorbito dagli osteoclasti. In assenza di estrogeni, si verifica un maggior lavoro degli osteoclasti rispetto agli osteoblasti, l’osso perde consistenza e si sviluppa l’osteoporosi. La fase minerale del metabolismo dell’osso vede nella vitamina D il principale alleato per far sì che il calcio introdotto con l’alimentazione venga assorbito, quindi, una carenza di vitamina D non consente al calcio di raggiungere il sangue e le ossa che non vengono adeguatamente mineralizzate.
Una carenza di vitamina D, quindi, va sempre integrata?
Sì, perché senza una quantità sufficiente di questo ormone, il calcio, seppur assunto in quantità abbondanti, non sarà mai riassorbito dall’intestino e non ve ne sarà a sufficienza per un corretto apporto per le ossa.
In Italia è molto diffusa la carenza di vitamina D?
Sì, è un problema molto sentito nel nostro Paese soprattutto nelle fasce più anziane. In Italia, come altri paesi dell’ Europa mediterranea, i cibi non vengono addizionati con vitamina D a differenza di quanto accade nei paesi nordici. Questo perché l’ormone è prodotto dalla nostra pelle in risposta ai raggi solari, quindi, per molto tempo nei paesi del Sud Europa, si è pensato che l’esposizione al sole fosse sufficiente. Ma il cambiamento degli stili di vita alle nostre latitudini ci ha portato a stare sempre più all’interno con una conseguente sempre minore sintesi della vitamina D.
Come preservare la vitamina D?
L’esposizione solare è un fattore fondamentale, così come gli stili di vita. Per le donne in menopausa l’indicazione è di integrarla quando è insufficiente anche se la prescrizione e il monitoraggio devono essere sempre sotto controllo medico o endocrinologico. In termini generali, l’alimentazione è molto importante. È necessario assumere una quantità sufficiente di calcio, che abbonda nei latticini. Oggi però molte persone non assumono latticini, quindi, è importante per loro una integrazione, ricordando sempre che vitamina D e calcio vanno di pari passo e per questo entrambi devono essere sempre presenti nel nostro organismo in quantità sufficienti.
Anche la sedentarietà influenza le nostre ossa?
La sedentarietà è senza dubbio un fattore di rischio in quanto l’attività muscolare è di grande stimolo per il tessuto osseo. Il muscolo, con la sua attività, crea uno stimolo che favorisce lo sviluppo e il metabolismo dell’osso. Chi non svolge attività perde questa azione positiva ed è più soggetto all’osteoporosi. Prendiamo come esempio gli astronauti, che sviluppano la più grave forma di osteoporosi da inattività rimanendo a lungo in assenza di gravità. A tale grave perdita di massa ossea si accompagna una grave atrofia muscolare che a sua volta contribuisce, mancando l’azione positiva del muscolo sull’osso, ad un circolo vizioso che porta al progressivo peggioramento dell’ osteoporosi. L’atrofia muscolare è così grave che gli astronauti, a differenza di quando partono per le missioni, non vengono mai ripresi quando rientrano perché non riescono a camminare con le proprie forze e devono essere sorretti. Lo stesso vale per le persone costrette all’immobilizzazione a lungo a causa di patologie.
E il fumo?
Il fumo è un elemento predisponente all’osteoporosi e quindi è da sconsigliare, soprattutto nell’età in cui si assume e si mantiene il picco di massa ossea.
L’osteoporosi, seppur in una percentuale minore, può interessare anche gli uomini?
È un problema da non sottovalutare anche nella popolazione maschile. Ad esempio, i nostri studi sul Covid e sul long Covid hanno evidenziato che i maschi contagiati avevano un livello di vitamina D molto più basso delle donne, questo perché la popolazione femminile era già attenzionata per il problema, mentre per la popolazione maschile non era quasi mai stato effettuato un controllo dei livelli di vitamina D. E questa ipovitaminosi D nell’uomo spiegava secondo i nostri dati il perché gli uomini avevano infezioni più severe. La salute delle ossa è così senza dubbio una questione trasversale.
Esistono nell’uomo dei fattori predisponenti?
Si, un classico caso è la terapia cortisonica che provoca un danno alle ossa. Quindi, se nella donna il principale fattore da attenzionare è la menopausa, nell’uomo sono prevalenti le cause secondarie di osteoporosi come quelle da farmaci o da malattie endocrine ad esempio di tiroide e paratiroidi.
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