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Mercoledì 13 Settembre 2023
Quando il sangue si ammala: linfoma, curarsi è possibile
L’approfondimento Approvate in Italia le terapie Car-t, in cui i linfociti T del paziente vengono “ingegnerizzati” per colpire le cellule . Nel Comasco si contano circa 170 nuove diagnosi all’anno, mentre sono 17mila quelle registrate in tutto il Paese
Ogni anno nel comasco sono circa 170 le nuove diagnosi di linfoma. Il trattamento per questo tumore del sangue dipende dal singolo caso, ma la buona notizia è che la ricerca in questi anni ha fatto importanti passi in avanti in questo campo che hanno permesso nuovi percorsi terapeutici. Sebbene questa malattia onco-ematologica sia diffusa in Italia molte persone ancora oggi non sanno di cosa si tratti.
Settembre è proprio il mese dedicato alla sensibilizzazione sul linfoma e in particolare il 15 settembre è la Giornata Mondiale per la consapevolezza su questa patologia. Con Davide Sirocchi, specialista in Ematologia dell’unità operativa di Medicina Interna dell’ospedale Sant’Anna abbiamo fatto il punto sulla patologia e sui percorsi terapeutici oggi possibili.
«Il linfoma è un tumore del sangue che origina da cellule chiamate linfociti, il cui compito fisiologico è aiutarci a difenderci dalle infezioni – spiega Sirocchi - Non esiste “il linfoma”, piuttosto si parla di una grande famiglia in cui sono comprese forme altamente aggressive e forme altamente indolenti, con le varie sfumature in mezzo».
Cosa dicono i numeri
Per quanto riguarda i dati di incidenza nel nostro Paese riportano che ogni anno in Italia vengono poste circa 17mila diagnosi di linfoma e si stima che in Italia vivano oltre 200mila persone con diagnosi (posta in qualunque momento della loro vita) di linfoma. «Proiettando i dati sulla nostra provincia – prosegue lo specialista - possiamo affermare che ogni anno vengano poste circa 170 nuove diagnosi di linfoma e che oltre 2mila persone abbiano avuto una diagnosi di linfoma in qualunque momento della loro vita». La ricerca su questa malattia è sempre attiva ma a oggi le cause dei linfomi non sono state ancora del tutto chiarite. «Sappiamo che alcuni linfomi – prosegue il medico - sono associati ad agenti infettivi come il virus dell’epatite C, il virus di Epstein-Barr, o a un particolare batterio, chiamato Helicobacter pylori, il cui habitat naturale è il nostro stomaco. Altri ancora si sviluppano nel contesto di stati di immunodeficienza congenita o acquisita (tra cui, ma non esclusivamente, l’infezione da virus dell’Hiv) o nel contesto di condizioni infiammatorie. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, la causa resta ignota».
Non è raro, inoltre, che la diagnosi avvenga in modo casuale in occasione di altri accertamenti in quanto i sintomi non sempre si manifestano nelle prime fasi della malattia. «Altre volte queste malattie – precisa Sirocchi – si manifestano con un ingrandimento dei linfonodi superficiali, specialmente a livello del collo, delle ascelle o dell’inguine, o con quelli che noi chiamiamo “sintomi sistemici”, che possono essere febbre persistente, sudorazioni notturne, perdita di peso senza motivo apparente e stanchezza marcata».
La diagnosi parte dalla visita medica, con un’attenta anamnesi, e dalla valutazione degli esami del sangue, per poi procedere con gli esami radiologici, fino alla biopsia linfonodale e/o la biopsia osteomidollare, cioè il prelievo di un frammento di midollo osseo, il tessuto spugnoso che si trova all’interno di alcune ossa del nostro corpo.
Una volta raggiunta la diagnosi è importante sottolineare che il percorso di cura e di trattamento dipende dal singolo caso. «I trattamenti sono molto diversi e dipendono dal tipo di linfoma e dalle caratteristiche del paziente – aggiunge lo specialista - Accanto ai trattamenti più classici, come la chemioterapia e radioterapia, sono stati introdotti farmaci specifici, come anticorpi monoclonali e farmaci biologici». Una strategia molto utilizzata è quella di associare a uno o più farmaci chemioterapici, un anticorpo monoclonale. Il più utilizzato è rituximab, un anticorpo prodotto in laboratorio che si lega in maniera selettiva a una proteina espressa solamente dai linfociti B, chiamata Cd20, inducendone la distruzione. «Infine, in alcuni linfomi riveste ancora un ruolo importante – dice ancora - soprattutto nei pazienti più giovani, il trapianto di cellule staminali ematopoietiche, particolarmente il cosiddetto trapianto autologo, cioè quello effettuato utilizzando le cellule prelevate dal paziente stesso».
I pazienti sono preoccupati dal malessere correlato agli eventuali effetti collaterali delle terapie usate per combattere i linfomi. «Già da molti anni sono in uso le terapie cosiddette di supporto – aggiunge il medico – e cioè terapie che non colpiscono direttamente la malattia, ma servono a prevenire gli effetti collaterali, ad esempio i farmaci antiemetici che permettono di prevenire la nausea correlata ad alcuni chemioterapici e i fattori di crescita che aiutano a diminuire il rischio di contrarre infezioni».
Il ruolo della ricerca
Qualsiasi sia il percorso condiviso con il paziente, non bisogna mai sottovalutare anche gli aspetti psicologici che possono emergere sia nel momento della diagnosi, sia durante le fasi successive del percorso intrapreso dalla singola persona. Convivere con una malattia oncologica è senza dubbio un cammino complesso, che può generare ansia e preoccupazione, ecco perché gli specialisti stessi sono molto attenti anche agli aspetti psicologici che possono emergere a seguito della diagnosi.
I ricercatori sono costantemente al lavoro in questo campo. «Negli ultimi anni la ricerca ha fatto enormi passi avanti – conferma Sirocchi - recentemente sono state approvate in Italia le terapie Car-t, in cui i linfociti T del paziente vengono “ingegnerizzati” e reinfusi per colpire le cellule malate. Fra poco saranno inoltre disponibili in Italia, per alcuni linfomi, gli anticorpi monoclonali bispecifici, particolari anticorpi che legano insieme i linfociti “buoni” e i linfociti della malattia, per permettere ai primi di distruggere questi ultimi».
Occhio ai linfonodi
In termini di prevenzione è utile sottolineare che al momento, a differenza di quanto accade per altre malattie oncologiche, non esistono programmi di screening che permettano di porre una diagnosi precoce. «Tuttavia l’eradicazione di alcuni agenti infettivi, in particolare il virus dell’epatite C e l’Helicobacter pylori – sottolinea il medico - può prevenire in alcune persone l’insorgenza di tipi specifici di linfoma». I pazienti con diagnosi di linfoma a basso grado di malignità che non necessitano di un trattamento immediato vengono invece seguiti nel tempo con visite mediche, esami del sangue e radiologici in modo da poter intervenire con un trattamento adeguato nel caso sviluppassero sintomi o in caso di ingrandimento eccessivo dei linfonodi o di altri organi coinvolti.
Ma esistono dei campanelli di allarme? «A volte, come già detto, le manifestazioni sono aspecifiche e non fanno sospettare subito a un linfoma – conclude lo specialista -. Sicuramente bisogna prestare attenzione all’ingrossamento dei linfonodi, soprattutto se eccessivo o se sono state escluse le cause infettive, che rappresentano la prima causa ingrossamento dei linfonodi». Anche per tutti gli altri sintomi sopra citati, come febbre, sudorazioni profuse, calo ponderale e stanchezza, è necessaria un’attenta visita per identificare eventuali altre cause, fra cui, ancora una volta, le infezioni, ma anche malattie infiammatorie o l’assunzione di alcuni farmaci.
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