Tumori al seno e genetica: i successi della ricerca

L’intervista Studi recenti hanno consentito di migliorare farmaci e approccio a una malattia che colpisce una donna su 12. Il chirurgo Riccardo Roesel: «Oggi questo tipo di patologia si può curare e nella ipotesi peggiore cronicizzare»

Il tumore al seno colpisce una donna su 12 in Lombardia. Oggi, fortunatamente, grazie a percorsi terapeutici personalizzati, sono numerose le donne che riescono a sconfiggere la malattia o a cronicizzarla. Fondamentale però la diagnosi precoce. Con Riccardo Roesel, direttore dell’unità operativa semplice di Chirurgia senologica dell’ospedale Valduce, abbiamo parlato delle nuove possibilità farmacologiche e chirurgiche per le pazienti.

Dottore, ottobre è il mese dedicato alla prevenzione del tumore al seno. Cosa possiamo dire in termini di adesione agli screening?

Le donne hanno senza dubbio colto bene questo messaggio, anche se c’è ancora molto da fare nelle regioni di Centro e Sud Italia. In Lombardia il tasso di reclutamento per gli screening mammografici è sufficientemente seguito, ma c’è ancora bisogno di sensibilizzare le donne più giovani. La prevenzione prima partiva a 50 anni, purtroppo però sono numerosi i casi di donne che si ammalano di tumore al seno al di sotto di questa fascia di età.

Come mai questo incremento?

Le motivazioni sono diverse. Ci sono gli stili di vita, ma anche il fatto che le donne oggi hanno gravidanze in età sempre più avanzata, ma bisogna tenere presente anche i fattori ambientali. Regione Lombardia ha già anticipato lo screening a 45 anni e, in alcuni casi selezionati, si inizia anche prima, non tanto con la mammografia ma con altre tipologie di indagine. Più si è in età giovanile, infatti, più il seno è denso e quindi la mammografia non rappresenta l’esame gold standard, ma sono preferibili ecografie o risonanze magnetiche.

Anche la genetica ha un ruolo in questa presa in carico precoce? Oggi avete a disposizione dei test che sono predittivi in termini di familiarità, visto che alcune mutazioni a carico di specifici geni (come BRCa1 e BRCa2), se ereditate, possono aumentare il rischio di sviluppare tumori della mammella e dell’ovaio?

Il capitolo delle mutazioni genetiche è sempre più consistente e questo vuol dire che c‘è un reclutamento di donne da sottoporre a una osservazione, in termini di prevenzione, in quanto queste persone sono sane, ma la familiarità con un parente che si è ammalato determina una possibile ereditarietà. In base al singolo caso possono essere sottoposte a programmi fitti di controlli mammografici, ecografici o di risonanza magnetica, ma in alcuni casi viene presa in considerazione anche la possibilità di una chirurgia che riduca il rischio.

Una scelta, quella della chirurgia, alla quale aveva deciso di sottoporsi qualche anno fa l’attrice Angelina Jolie proprio a seguito dei risultati dei test. Una decisione che aveva aperto un dibattito, ma oggi sembra che sia arrivato il messaggio che si tratta di un’opportunità importante per scongiurare la malattia...

La scelta della Jolie aveva fatto molto discutere ma oggi, fortunatamente, la cultura in questo senso è cambiata. Oggi le donne con un alto rischio di ammalarsi possono sottoporsi a mastectomia risk reducing bilaterale. Si tratta di una scelta che però non è immediata per tutte le donne a cui è consigliata. Credo sia giusto non mettere fretta in questo senso, ma iniziare con il monitoraggio per dare il giusto tempo alla persona di fare la sua scelta.

Ogni donna, insomma, ha la sua reazione?

Non è possibile generalizzare. Senza dubbio per una paziente che ha già un tumore a un seno e ha una ereditarietà confermata dai test genetici, quindi, un’alta percentuale di rischio anche per l’altro seno, la possibilità di intervento chirurgico risk reducing viene accolta come un passaggio che segue l’intervento per il tumore. Diverso può essere il discorso per una persona sana che si ritrova, a 35 -40 anni, con una mutazione genetica che le aumenta il rischio del 60% di tumore alla mammella e del 40% di tumore all’ovaio.

Anche per queste pazienti però è fondamentale un attento monitoraggio?

Si, la diagnosi precoce è fondamentale. All’interno della Brest Unit c’è un ambulatorio dedicato proprio alle pazienti a rischio genetico, dove vengono fatti controlli clinici e radiologici per evitare una diagnosi ritardata. Non si può evitare il tumore al seno, ma è fondamentale prenderlo in tempo utile, quindi, l’obiettivo è eliminare quello che viene definito “cancro intervallo” e cioè l’insorgenza di un tumore tra due indagini diagnostiche.

Per ogni paziente viene individualizzato un percorso di prevenzione o di trattamento?

Fortunatamente in Lombardia le donne possono contare sulla presenza delle Brest Unit, centri di senologia qualificati, nei quali è presente anche una psico oncologa perché non si devono mai dimenticare gli aspetti psicologici, che devono rispondere ad alcuni requisiti come quello di garantire elevati livelli di qualità di cura ed operare con team multidisciplinari, ma anche garantire adeguati volumi di attività. La presa in carico della paziente con una problematica senologica è collegiale e ogni singolo caso viene trattato in riunioni settimanali.

Quali sono oggi le terapie a disposizione?

Grazie a livelli di cura individualizzati questo tumore si può curare e, nella peggiore delle ipotesi, si può cronicizzare, anche se la mortalità non è azzerata. Oggi abbiamo a disposizione i cosiddetti pannelli biologici, cioè conosciamo il Dna del tumore, e su questo siamo in grado di costruire il percorso terapeutico. Si stanno facendo importanti passi in avanti grazie a farmaci di ultima generazione.

Ci sono novità anche per la chirurgia?

La chirurgia è sempre più conservativa e meno aggressiva sia a livello della mammella sia del linfonodo del cavo ascellare. Anche le tecniche di oncoplastica mammaria sono in evoluzione, con la possibilità di restituire alle pazienti un seno con una forma sempre più simmetrica all’altra mammella. A questo di aggiunge l’input dei nuovi materiali protesici. Questo ha fatto si che nella maggior parte dei casi oggi al trattamento di mastectomia nipple sparing, cioè con conservazione del capezzolo, venga fatta contestualmente la ricostruzione protesica. Le protesi con membrane biologiche di pericardio bovino consentono da un lato più opportunità di posizionamento della protesi stessa e dall’altro un minor rischio di rigetto.

Stili di vita sani, movimento e un’alimentazione equilibrata sono alla base della prevenzione di molte malattie, ma per il tumore al seno ci sono altri messaggi in questo senso?

Senza dubbio genetica, latitudine e fattori ambientali hanno una implicazione, a questo si aggiungono le gravidanze in età avanzata. La terapia ormonale sostitutiva oltre i cinque anni, inoltre, aumenta il rischio di malattia. Questa terapia, senza dubbio, consente di risolvere problemi importanti legati alla menopausa, anche perché oggi una donna in menopausa è molto diversa da una donna in menopausa di 40 anni fa. C’è una sorta di sfasamento tra l’orologio biologico e quello anagrafico, quindi, è giusto iniziarla, ma è dimostrato che superati i cinque anni l’incidenza di tumore al seno aumenta.

Il 18 ottobre ricorre la giornata mondiale di informazione sulla ricostruzione mammaria, il Valduce ha organizzato una giornata di informazione e sensibilizzazione.

È una giornata dedicata alla consapevolezza della donna, per farle sapere che le tecniche chirurgiche in questo campo sono in costante evoluzione e che la ricostruzione del seno a seguito di malattia non deve essere intesa come una cosa in più, ma come un punto centrale in un programma terapeutico.

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