Tumori, questioni di famiglia, ma la genetica può aiutare

Prevenzione Tra il 5 e il 7% dei casi di familiarità, la malattia risulta trasmessa da una generazione a quella successiva. Si parla di “ereditarietà”: oggi la ricerca consente di individuare le mutazioni a rischio e di intervenire in tempo

La stragrande maggioranza dei tumori, l’85-90%, sono sporadici e cioè si manifestano in donne senza una significativa storia familiare per questa patologia. Esiste però un 15-20% di casi, definiti familiari, in cui c’è una frequenza superiore di circa il doppio rispetto a quella della popolazione generale e si verifica un raggruppamento di più casi di tumore al seno in un nucleo familiare. Nell’ambito dei casi di familiarità solo il 5-7% é rappresentato da tumori ereditari trasmessi da una generazione a quella successiva. Grazie a importanti conquiste della genetica oggi è possibile individuare, in pazienti attentamente selezionati, le mutazioni trasmesse e avviare per le persone un programma di sorveglianza attiva.

«La possibilità di individuare su pazienti a rischio la mutazione di determinati geni, significa intervenire precocemente in caso di malattia e salvare vite»

«In termini percentuali la frequenza dei tumori ereditari può apparire bassa - spiega Monica Giordano, primario dell’Oncologia dell’ospedale Sant’Anna –, ma dobbiamo pensare a quanto sia frequente la possibilità di ammalarsi di tumore della mammella nella popolazione generale (una donna su otto nelle nostre zone) e al fatto che la possibilità di individuare su pazienti a rischio la mutazione di determinati geni, significa intervenire precocemente in caso di malattia e salvare vite».

Qualche anno fa aveva suscitato clamore il caso dell’attrice americana Angelina Jolie che aveva deciso di operarsi a seno e ovaie per ridurre il rischio di contrarre il cancro, dopo essersi sottoposta a esami del Dna che le avevano confermato la presenza di una mutazione che determinava per lei la elevata probabilità di ammalarsi di tumore al seno o alle ovaie. Nel corso degli anni altri personaggi famosi hanno raccontato, vista un’elevata casistica di tumori in famiglia, di essersi sottoposti agli stessi test. «Nel lessico quotidiano abbiamo imparato a conoscere – prosegue il primario – i geni BRCa 1 e BRCa 2 che sono quelli di cui ha parlato più volte proprio Angelina Jolie, ma oggi sappiamo che oltre a questi due geni, ne esistono altri che, grazie a un semplice prelievo di sangue, possono essere individuati e mostrare una predisposizione all’incidenza di tumore». Non si parla solo di tumore alla mammella o all’ovaio, ma anche di tumore al colon, del melanoma familiare, del tumore del pancreas e di quello alla prostata.

«È fondamentale che i medici di medicina generale facciano un’accurata anamnesi familiare, in quanto sono spesso loro il primo filtro per il paziente che si rivolge a loro per un bisogno di salute»

È importante sottolineare che questi test sono destinati a pazienti selezionati che presentano criteri che certificano l’appropriatezza alla prescrizione di questi esami. È altrettanto importante evidenziare come non solo gli specialisti degli ospedali, ma anche la medicina territoriale, può fare molto per intercettare questi portatori sani. La richiesta di una consulenza genetica, infatti, può essere fatta non solo dai medici ospedalieri ma anche dal medico di famiglia.

«È fondamentale – sottolinea Giordano – che i medici di medicina generale facciano un’accurata anamnesi familiare, in quanto sono spesso loro il primo filtro per il paziente che si rivolge a loro per un bisogno di salute. Questa anamnesi familiare consente di individuare nel nucleo una particolare incidenza di tumori». Sapere quali tumori ci sono stati in famiglia in quali organi e a quale età è molto importante in termini di diagnosi precoce. «Si sa, ad esempio – prosegue la specialista – che un esordio in età giovanile, quindi sotto i 40 anni, di un familiare di primo grado (madre o padre) di tumore del colon o della mammella o dell’ovaio deve far scattare un campanello d’allarme in quella famiglia».

Una volta inviata la richiesta è il medico genetista a costruire l’albero genealogico e a comprendere se, in quella famiglia, quella determinata persona necessita di particolari approfondimenti. I criteri utilizzati sono bene codificati e riconosciuti dalla letteratura scientifica internazionale. Questo consente di escludere richieste di accesso ai test non appropriate.

«Sul paziente che si è già ammalato vengono effettuate delle analisi particolari per capire se esiste una mutazione genetica che possa essere trasmessa ai membri della famiglia o una predisposizione familiare»

All’ospedale Sant’Anna grazie a un ambulatorio multidisciplinare non solo viene eseguita un’anamnesi familiare su pazienti che hanno alcune neoplasie, ma vengono presi in carico i parenti portatori sani che necessitano di codificati programmi di sorveglianza attiva. «Sul paziente che si è già ammalato – spiega Giordano – vengono effettuate delle analisi particolari per capire se esiste una mutazione genetica che possa essere trasmessa ai membri della famiglia o una predisposizione familiare. In caso di riscontro della mutazione la analisi viene poi offerta a tutti i membri della famiglia interessati».

Come sottolinea la specialista, intercettare portatori sani significa salvare delle vite e consentire a ragazzi e ragazze, a partire dai 25 anni, di entrare in un programma di sorveglianza attiva dove possono essere monitorati grazie a esami che hanno una cadenza ben stabilita.

La chirurgia profilattica

«Chiaramente tutto questo non annulla la possibilità di ammalarsi – precisa il primario – ma permette l’intercettazione della malattia a uno stadio molto precoce allo scopo di avviare un iter di cura tempestivo. In alcune situazioni, raggiunti i 35/40 anni c’è la possibilità di sottoporsi a interventi di chirurgia profilattica».

La diagnosi di tumore in una famiglia porta inevitabilmente preoccupazioni e paure, ecco perché non sempre è semplice per un genitore o per un figlio accettare la possibilità di aver trasmesso o di poter aver ereditato una malattia. «Devo dire che la maggior parte dei giovani – conferma il primario – è molto responsabile e di fronte a un rischio accertato si sottopone ai test e alla sorveglianza attiva. Un recente studio condotto su ragazzi e ragazze, tra i 18 e i 24 anni, ha dimostrato un atteggiamento molto responsabile da parte loro e che, adeguatamente informati sul fatto che il loro è un rischio di ammalare e che questo rischio può essere governato sottoponendosi a delle analisi costanti e capillari, hanno aderito senza particolari problemi». Diversa la situazione, invece, se si parla di mamme e papà dove oltre alla difficoltà di comunicare ai figli la malattia, spesso c’è anche quella del forte senso di colpa per sottoporli a un possibile rischio. Fondamentale, come detto, in tutto questo percorso la presenza di una psiconcologa che si occupa di seguire i pazienti malati nel loro percorso di cura, dei loro familiari, ma anche di quei parenti per cui è fortemente consigliato il test genetico.

I criteri di accesso

A verificare l’appropriatezza della prescrizione all’ospedale Sant’Anna è Anna Sajeva, medico genetista dell’Unità operativa semplice di Genetica di Asst Lariana. «Ci sono dei criteri di accesso alla consulenza e dei criteri di accesso al test – precisa il medico genetista –. Ecco perché è importante che la richiesta di consulenza venga fatta in presenza di criteri specifici, in quanto una richiesta inappropriata porta solo a infondere nella persona timori e paure infondate».

«Una volta stabilita la reale necessità di sottoporsi a un determinato test il paziente viene informato di tutto, compresa la possibilità di un risultato incerto o patogenetico, cioè la mutazione di quel determinato gene»

«Una volta stabilita la reale necessità di sottoporsi a un determinato test – aggiunge Sajeva - il paziente viene informato di tutto, compresa la possibilità di un risultato incerto o patogenetico, cioè la mutazione di quel determinato gene».

Come detto a termine della consulenza i pazienti hanno solitamente reazioni opposte, nella maggior parte dei casi decidono di sottoporsi al test, ma in altri rifiutano l’esecuzione dell’esame così come la possibilità di essere presi in carico dall’ambulatorio dedicato, rifiutando di pensare alla possibilità di ammalarsi.

Nel caso il paziente decidesse di sottoporsi al test, che consiste in un prelievo di sangue, questo può essere già eseguito il giorno stesso della consulenza, e in quella occasione viene fissato anche l’appuntamento per la restituzione del risultato che solitamente viene calendarizzato dopo circa 30 giorni. Fondamentale in tutti questi passaggi, come detto, anche la presenza della psiconcologa, sia nella fase preliminare all’esecuzione del test genetico che nella fase successiva di accettazione del risultato.

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