Una chirurgia ricostruttiva più micro per dei risultati...maxi

L’intervista Ora si possono sfruttare tessuti e parti di osso al posto delle protesi per ricostruire. Il primario del Gaetano Pini : «La protesi potrebbe dover essere sostituita, le parti biologiche restano per sempre»

Il trattamento del piede diabetico e del linfedema oggi possono beneficiare di soluzioni all’avanguardia grazie a significativi passi avanti della microchirurgia ricostruttiva. Ma sono numerose le condizioni e patologie che trovano in questa tecnica chirurgica un importante alleato.

A Milano si è tenuto il sedicesimo congresso della Federazione Europea di Microchirurgia dove sono state presentate le novità e gli scenari. Ne abbiamo parlato con Pierluigi Tos, presidente della Federazione europea della Società di Microchirurgia e direttore dell’unità operativa di Chirurgia della mano e Microchirurgia ricostruttiva dell’Istituto Ortopedico Gaetano Pini Cto di Milano.

Quanti esperti erano presenti al congresso?

Quest’anno abbiamo avuto circa 900 professionisti provenienti da 60 Paesi del mondo, un quarto dei partecipanti era extraeuropeo. Si è trattato del più grande congresso europeo dalla fondazione del 1992, siamo tutti molto orgogliosi di questo.

Cosa si intende esattamente per microchirurgia ricostruttiva?

La microchirurgia è la tecnica chirurgica che, attraverso l’impiego del microscopio operatorio, consente di curare patologie estremamente complesse per mezzo del trasferimento di tessuti autologhi. Parliamo di parti del corpo, come dita dal piede, linfonodi, muscoli e parti di cute, che possono essere trasferite e “risuturate”, quindi ricollegate con i vasi, nella zona dove si è creata una perdita di sostanza.

Qualche esempio?

Per quanto riguarda l’Ortopedia, la microchirurgia ricostruttiva consente di prelevare una parte di osso in un determinato punto e di reimpiantarlo in un altro dove è mancante. Altro esempio è quello di un paziente oncologico a cui è stata asportata la parte interessata dalla malattia e per questo è necessario andare a recuperare del tessuto da un’altra parte e trasferirlo. Quando viene fatto questo è necessario riconnettere i vasi grazie a fili molto sottili, parliamo di uno spessore di circa la metà di un capello, e microscopi molto potenti che sono in grado di ingrandire di 40/60 volte l’area di intervento.

Quando nasce la microchirurgia ricostruttiva?

La tecnica nasce tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta e i primi interventi erano eseguiti per riattaccare braccia ai pazienti. Il primo reimpianto è stato fatto nel 1962 e da quel momento questo ambito si è sviluppato arrivando poi al trasferimento dei tessuti e alla moderna chirurgia plastica ricostruttiva.

Da allora sono in costante aumento anche le specialità che utilizzano queste tecniche.

Sì. Pensiamo ai chirurghi del distretto testa-collo che oggi possono usare queste tecniche per il trattamento di pazienti che hanno avuto una resezione ampia per rimuovere un tumore o un grave trauma. Oggi, ad esempio, è possibile ricostruire con estrema precisione una mandibola prelevando parti di perone o di altre ossa, su questa poi si possono inserire perni moncone su osso “vivo” e quindi ricostruire i denti e ridare la completa funzione masticatoria.

Quali le novità più recenti?

Al Gaetano Pini, dove mi occupo di chirurgia ortopedica e plastica, l’avanguardia sta nel trasferimento di tessuti, soprattutto per quanto riguarda traumi e tumori agli arti, ma anche ricostruzioni digitali con dita dal piede con l’obiettivo di ristabilire una funzione di movimento o strutturale. Lo scopo è sempre il salvataggio dell’arto ed evitare le amputazioni, che erano frequenti molti anni fa.

In sostanza il principio è opposto a quello della chirurgia protesica?

Quando si utilizzano delle protesi c’è la consapevolezza che ad un certo punto potrebbe essere necessaria la sostituzione della protesi stessa. Se, invece, si utilizzano delle parti biologiche, queste restano per sempre. Oggi nelle pazienti operate di tumore alla mammella, ad esempio, alla più consolidata ricostruzione mammaria con protesi al seno si sta affiancando quella autologa che sfrutta i tessuti sani della paziente stessa.

Si tratta di tecniche che consentono di migliorare la qualità di vita del paziente?

Non solo, in alcuni casi anche di allungare l’aspettativa di vita. Una parte importante del congresso è stata dedicata al trattamento del piede diabetico. Le evidenze scientifiche ci dicono che a cinque anni dall’amputazione purtroppo nella maggior parte dei casi il paziente muore. Salvare l’arto grazie alla microchirurgia ricostruttiva consente di allungare l’aspettativa di vita ma anche di ridurre i costi per la spesa pubblica di questi pazienti.

Quanto contano momenti di confronto tra esperti come nel caso dell’ultimo congresso?

Sono fondamentali in quanto ci sono zone del mondo, come l’Asia, con risorse enormi che spingono i limiti di questa chirurgia. Le faccio un esempio: nel mio campo ci sono dei chirurghi cinesi che riescono a ricostruire con le dita del piede la mano, ma nello stesso momento ricostruiscono il piede dove hanno prelevato le dita. Si tratta di limiti che al momento in Europa, anche per questioni economiche, non sono ancora frequenti, ma che ci fanno capire dove si può arrivare.

Cosa ci può dire sulla robotica?

Per arrivare a superare i limiti citati poco fa a un certo punto, inevitabilmente, la mano del chirurgo trema ad altissimo ingrandimento. Sono stati creati dei robot che diminuiscono il tremolio e questa è una delle innovazioni più importanti degli ultimi dieci anni. Questa tipologia di robotica si applica, ad esempio, alla cura del linfedema, malattia altamente disabilitante che purtroppo colpisce un importante numero di pazienti che subiscono l’asportazione dei linfonodi. Oggi con la robotica si possono trapiantare i linfonodi migliorando la vita di queste persone.

Purtroppo il mondo vive un momento drammatico per i diversi scenari di guerre in corso. Quale il ruolo della microchirurgia ricostruttiva in questi casi?

Questa tecnica ha un ruolo molto importante in questi casi in quanto, attraverso la sutura dei vasi e la ricostruzione vascolare, riusciamo a salvare gli arti danneggiati da importanti lesioni traumatiche. Anche in questi casi di parla di multidisciplinarietà e in particolare tra chirurgia ortopedica e chirurgia plastica, chirurgia vascolare, microchirurgia. Il vascolare si occupa del trattamento di vasi al di sopra dei tre/cinque millimetri, mentre il microchirurgo al di sotto di questa misura.

Quali sono gli scenari della microchirurgia?

Ci aspettiamo passi importanti nella robotica sugli arti bionici. Altro ambito in cui viene impiegata la microchirurgia, infatti, è la ricostruzione dei nervi. Nei prossimi anni, ad esempio, sarà possibile collegare delle protesi a dei nervi del braccio che, attraverso delle speciali giunzioni, delle interfacce, potranno inviare i messaggi dei nervi all’arto bionico per farlo muovere e ancora di più sentire. In sostanza in futuro, per alcuni pazienti, sarà preferibile utilizzare una protesi bionica piuttosto che pensare a una soluzione più “biologica”.

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