Ansa Press Release
Giovedì 29 Febbraio 2024
“De pauperitate note”, un libro sull’asprezza delle disuguaglianze e l’importanza del cambiamento
Oggi più che mai abbiamo la consapevolezza di vivere in un mondo spietato, in cui le disuguaglianze sociali si fanno aspre e coprono di disincanto il nostro sguardo. La corsa verso il successo e il benessere si trasforma spesso in una lotta spietata , in cui solo i più forti e smaliziati riescono a emergere. La disuguaglianza è diventata la norma, mentre la povertà dilaga in silenzio: una sottoclasse di individui emarginati e dimenticati dalla società si dibatte per sopravvivere in un sistema che li tratta come scarti, mentre una minoranza privilegiata continua a prosperare ai danni degli altri.
La povertà , punto di partenza della riflessione di Francesco M. Della Ciana nel libro “De pauperitate note” ( Gruppo Albatros il Filo , 2023), è una realtà onnipresente, una delle sfide più pressanti di ogni tempo. Le sue conseguenze sociali si diffondono come crepe in un muro, colpendo in maniera invisibile individui, famiglie o intere comunità. Se tuttavia il fenomeno della povertà si è modificato nel tempo, assumendo forme e caratteristiche diverse, la condizione dell’indigente rimane sempre simile a sé stessa : esiste un filo conduttore che unisce i poveri di ogni tempo e luogo, una traccia che l’autore ha cercato di portare alla luce tra le pagine del suo ultimo libro.
Della Ciana individua in una mentalità eccessivamente remissiva la principale caratteristica degli indigenti. Bisogna prima, tuttavia, specificare quali siano le figure interessate dalle considerazioni dell’autore: non le unicamente le persone che vivono sotto la soglia di povertà, ma quelli che, pur trovandosi in una condizione svantaggiata, non si industriano per cambiare il proprio destino , preferendo vivere di stenti che osare verso nuove direzioni. Con parole dure e taglienti, infatti, afferma che i cosiddetti “poveracci” hanno bisogno di regole – non importa se considerate giuste o meno – alle quali obbedire ciecamente, sono pronti a credere a qualsiasi cosa nella chimera di un futuro migliore, oppure nella timorosa speranza di non perdere quanto già faticosamente ottenuto fino a quel momento.
Le caratteristiche dei potenti sono l’esatto contrario: acuti e audaci fino a risultare sfrontati, sono forti del motto “chi si ferma è perduto” , che permette loro di creare ciò che prima non esisteva e aprire per sé stessi uno spiraglio nel mondo che conta. Appaiono inarrivabili a chi manca di impegno e caparbietà, come anche sono il bersaglio dell’invidia di chi non ne comprende l’operato. Con una prosa pungente e una nota di spietata ironia , l’autore afferma: “Senza possibilità di cambiamenti apparenti, i poveracci apparivano esitanti e impastoiati, prevedibili e comuni, scrupolosi nel programmato e purtroppo soffrivano di onestà , un qualcosa di inammissibile, che non consentiva loro di entrare a far parte del malaffare organizzato dominante. Era forse il gap più grave tra poveracci e potenti , la colpa maggiormente deprecabile che potesse esserci nei contesti sociali dell’ homo economicus , che non lasciava scampo a coloro che ne manifestassero seppur larvati segni di affezione… come un morbo temibile, l’onestà, teneva lontani tutti quelli che ne erano colpiti dai seppur minimi centri di potere e controllo”.
Nel porre al centro della sua riflessione la polarizzazione delle ricchezze , Della Ciana racconta, senza sconti o mezzi termini, quante variabili abbiano le inclinazioni e gli atteggiamenti umani, tutti portatori di vizi e virtù . Se infatti da una parte non bisogna angelicare il povero, deresponsabilizzandolo di conseguenza, dall’altra bisogna fare attenzione a non idealizzare il ricco, dal momento che non sempre il successo e l’opulenza raggiunti sono unicamente frutto del fiuto per gli affari o di una candida e integerrima lungimiranza. Dopotutto – questa l’acuta conclusione a cui giunge l’autore, che dopo essersi lanciato in arringhe quasi estreme che potrebbero far storcere il naso ai benpensanti – poveri e ricchi hanno in comune molto più di quanto possiamo immaginare .
Tra allegorie evocative e un sapiente utilizzo di una prosa straniante, “De pauperitate note” vuole porre l’accento sulle brutture di un sistema sociale spersonalizzante , in cui l’avere domina implacabilmente l’essere, svuotandolo e privandolo di significato. Della Ciana si riferisce ai propri contemporanei come “carcerati” , venuti al mondo in una società che mortifica il singolo, smussando le peculiarità fino a poterle incasellare in un ordine prestabilito. “ Che cosa rimane di te stesso? Poco o nulla. Sei detenuto, per una vita che ti appartiene soltanto in piccola, più che piccola parte. Devi adattarti, senza tentennamenti o discussioni, altrimenti le “celle di rigore” delle discriminazioni, dei pregiudizi, delle alienazioni, dei disconoscimenti, delle disoccupazioni, degli out of system, dei giochi più o meno perversi della prigionia delle esistenze umane. Se ti adegui, puoi usufruire di piccoli piaceri, piccoli cambiamenti… piccole affermazioni personali, successi irrisori, variazioni spesso impercettibili, sempre all’interno del sistema carcerario dell’esistenza umana” leggiamo in questo evocativo estratto del capitolo “Tutti prigionieri” . Convenzioni sociali, riti familiari, usi e costumi, non sono altro, per l’autore, se non le ennesime gabbie che privano l’individuo della propria libertà di espressione e sperimentazione.
La sfocatura dell’individuo , e dunque del soggettivismo e della personalizzazione, non può che sfociare, secondo il pensiero dell’autore, che nella creazione di un ambiente ingrigito e fiacco , privo di qualsiasi spirito di iniziativa ed evoluzione. Della Ciana parla di una crisi che non è unicamente politica o sociale, ma più profonda, culturale . È forte la sua denuncia a un eccessivo alleggerimento del bagaglio lessicale ed esperienziale , in cui le conoscenze si semplificano e si deformano – lì dove il proliferare delle fake news rischia di rendere inefficace il potentissimo strumento di Internet. La sua preoccupazione è certamente rivolta alle generazioni future , alle quali spetta l’onere di dover quasi reimparare a vivere la vita, a goderne pienamente sia nei suoi punti più alti, sia in quelli più difficili. “L’unica certezza è indubbiamente quella di restituire all’uomo il centro del mondo, un nuovo Umanesimo ” afferma Della Ciana, ma subito dopo si chiede: “ma come, con quali valori, quali fondamenti etici?”.
L’opera di Francesco Della Ciana è un mirabile esempio di dialettica , capace di portare avanti e sostenere le proprie tesi in maniera variegata e mai scontata. Sorprende per la sua durezza nella prima sezione del libro, ma conquista in fretta i lettori l’ ardore con cui si batte per difendere un’umanità ricca e prismatica alla quale in alcun modo possiamo rinunciare. Un recupero dei valori positivi è auspicabile, ma non è più possibile tornare indietro sui percorsi già tracciati e perduti dalla modernità: è necessario trarre ispirazione da essi per trovare nuovi modi , nuove opportunità di riscoprirci figli di una stessa Terra, di un’umanità funestata che aspetta soltanto di rialzarsi. “De pauperitate note” è un invito ad aprire gli occhi sul mondo e su sé stessi , a farsi artefici della propria fortuna, a non rinunciare mai alla nostra vera essenza. Un’opera acuta e sorprendente da approfondire fino all’ultima pagina, in tutta la densità della sua riflessione.
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