Giorno del Ricordo 2025


(Arv) Venezia 11 feb. 2025 - Si è svolta questa mattina a Venezia, a palazzo Ferro Fini, sede del Consiglio regionale del Veneto, introdotta dal Presidente dell’assemblea legislativa Roberto Ciambetti, nel quadro delle celebrazioni del Giorno del Ricordo, la lectio magistralis del professor Davide Rossi, vicepresidente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati e docente di Storia e tecnica delle costituzioni europee presso l’Università degli Studi di Trieste, alla quale hanno partecipato i consiglieri regionali e gli appartenenti alle associazioni degli esuli istriani, fiumani e dalmati, sul tema “Il Giorno del Ricordo nell'anno della Capitale congiunta della Cultura Nova Gorica e Gorizia”, in occasione del 21° anniversario dall’istituzione della giornata che rammenta i massacri delle foibe e l'esodo giuliano-dalmata.
“Il Giorno del Ricordo - ha sottolineato il Presidente Ciambetti, nel rinnovare la memoria della conferenza di pace a Parigi, il ruolo di Alcide De Gasperi, le tragedie di Vergarolla, a Pola, e della foiba di Basovizza, e l’episodio dell’apertura temporanea nell’agosto del ’50 del valico di Casa Rossa a Gorizia - fu istituito con la legge 30 marzo 2004 n. 92 per "conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale". Oggi guardiamo in particolare al messaggio di pace e speranza che giunge da Gorizia, a ottant’anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, ovvero dalla Capitale Europea della Cultura, ammirati e speranzosi per quanto raggiunto a Nova Gorica-Gorizia, salutando la ritrovata Unità, e non solo, di questa realtà. Nella Giorno del Ricordo inviamo il ringraziamento e gli auguri sinceri al sindaco di Gorizia Rodolfo Ziberna e al suo collega sloveno Samo Turel: oggi sono i simboli dell’Europa voluta dai padri fondatori dell’Unione, non l’Europa di banche e banchieri, ma l’Europa dei popoli, dei cittadini, delle persone semplici che vogliono guardare al futuro con fiducia e speranza. Ringrazio il professor Rossi non solo per il suo contributo odierno, ma per lo sforzo straordinario che ha posto in questi anni nel tentativo di riconciliare gli animi, con spirito di pace nell’ambito istriano-dalmata e tra gli esuli, prodigandosi in mille iniziative di divulgazione e informazione”.
“Perché collegare il Giorno del Ricordo - è stato il tema introduttivo posto dal professor Davide Rossi nel corso della lectio - e nell'anno della Capitale europea della cultura che ha unito Nova Gorica e Gorizia? Coloro che hanno vissuto in famiglia prima le foibe e poi l’esodo hanno svolto un compito particolare nel ricordare le proprie vicende. Noi, che apparteniamo ormai alla terza generazione, abbiamo dinanzi un compito diverso; ci troviamo, infatti, di fronte a un bivio, ricordato nel 2020 anche dal Presidente Mattarella: fare delle complesse vicende del confine orientale un elemento di revanscismo oppure partire da questo elemento verso una nuova prospettiva e verso una nuova Europa, ricordando che la piazza di Gorizia nel 1948 veniva deturpata da un muro che è nato prima del muro di Berlino e che è stato abbattuto dopo il muro di Berlino. Vi è poi la chiave di lettura legata alla tragedia delle foibe: il numero totale delle vittime, stimate in 500mila tra Slovenia, Croazia e il resto dell’ex Jugoslavia, ha sempre costituito un problema perché le ricerche fino a pochi decenni fa erano difficili, se non impossibili; ciò che fece Tito non fu solo pulizia etnica, contro gli italiani, ma anche pulizia ideologica contro sloveni e croati non-allineati in vista della realizzazione del socialismo reale, e oggi su questo fronte è possibile condurre ricerche impensabili solo pochi decenni fa, e ciò non significa negare che ci sia stato un cruento fascismo di confine. L’ulteriore chiave di lettura è legata alla considerazione che quanto è accaduto e le decisioni che furono prese passarono attraverso il governo italiano: l’Italia era considerato uno stato-satellite, quanto accadeva era frutto di decisioni che venivano prese in altri consessi, molto distanti da Roma e fuori dal governo italiano, in particolare ciò che riguardava gli italiani d’Istria, di Fiume e della Dalmazia”.
“Il 2025 - ha sottolineato il prof. Rossi - è l’anno della Capitale della Cultura e di tanti anniversari importanti: si ricorda il 1915, l’anno in cui l’Italia entrò in guerra per Trento, Trieste, Fiume, Zara e Pola, ossia per chiudere il Risorgimento italiano e per completare un percorso; il 1945, gli 80 anni dalla Liberazione, che però non giunse a Trieste, dove arrivò un’altra Liberazione e che vivrà i conflitti tra gli alleati, i rapporti degli stessi alleati con Tito e con la nascente Jugoslavia, le vicende legate ai trattati del 10 febbraio del ’47 - data scelta per il Giorno del Ricordo, quando l’Italia viene moncata proprio sul confine orientale in forza del trattato di pace -, la vicenda particolare di Trieste, il ruolo delle nazioni unite e la gestione delle zone A e B della città. Nel 1953 la questione del confine orientale riemerse in un contesto che vide l’uscita di scena di Stalin, il nuovo ruolo di Tito, la caduta del governo De Gasperi, il nuovo governo Pella che cercò di sciogliere la questione triestine, le giornate di Trieste con gli scontri tra italiani e inglesi e le morti che ne seguirono, la successiva firma del memorandum con la zona A assegnata all’Italia. Nel 1975 vennero avviate trattative che portarono a un trattato il cui contenuto era lo specchio di quello già siglato nel ‘54 e nel ‘46: Istria, Pola e Zara venivano cedute alla Jugoslavia, e la firma avvenne a Osimo, agevole da raggiungere in aereo da Belgrado, scelta perché si temevano scontri che non avvennero, mentre a Trieste vi fu una sollevazione popolare da cui sorse il primo civismo italiano. In ogni caso, viene posta la pietra tombale sulla vicenda, non riaperta nemmeno dopo il decennio di conflitti nella ex Jugoslavia”.
“La storia del confine orientale - ha concluso il prof. Rossi - nel secondo novecento ha visto patire gli italiani, ma le decisioni venivano prese fuori dall’Italia, senza che l’Italia avesse alcun ruolo; il fatto di essere meri esecutori di decisioni altrui era dovuto al fatto che l’Italia aveva perso la guerra e le rivendicazioni italiane in tema di politica estera non potevano avere fondamenta tali da poter essere sostenute”.

La responsabilità editoriale e i contenuti di cui al presente comunicato stampa sono a cura di CONSIGLIO REGIONALE VENETO

© RIPRODUZIONE RISERVATA