Ansa Press Release
Giovedì 27 Febbraio 2025
"La Croce sono io", la poesia sacra come luogo di sofferenza, redenzione e vertigine spirituale
Quando la poesia si avvicina al sacro , diventa uno strumento di rivelazione, una forma di conoscenza che si dispiega attraverso la parola e l’immagine. Come la teologia, essa si muove nei territori dell’indicibile, tenta di dare forma a ciò che sfugge all’intelletto e si manifesta nel mistero. L’atto poetico , allora, diventa un gesto liturgico , una preghiera intima, un’eco del verbo divino che si fa carne nel verso.
Nel cuore di questa tensione tra umano e trascendente si pone la Croce , il luogo del sacrificio, ma anche il punto esatto in cui l’uomo e Dio si incontrano, dove il limite del corpo incontra l’infinito dello spirito. È la contraddizione più grande della fede cristiana: la salvezza passa per il martirio, la luce si rivela nella tenebra, la morte stessa diventa promessa di vita. La poesia può cogliere questo paradosso con grande efficacia: mentre il logos espone, la lirica evoca ; mentre la dottrina spiega, il verso avvicina al mistero con la forza della suggestione.
Cosa resta, allora, all’uomo che osserva? Una croce di cui non può dirsi spettatore, ma partecipe. Il poeta la sente come il proprio stesso peso, come il simbolo in cui si riconosce. In un atto di totale immedesimazione, annulla la distanza tra sé e il Cristo, tra la carne e il divino, tra la storia e l’eterno. È in questo riconoscimento che nasce il titolo di questa raccolta poetica, "La Croce sono io" , pubblicata per il Gruppo Albatros il Filo , e con esso la voce del suo autore, Alberto Biscotto .
Alberto Biscotto è un poeta teologico che fa della scrittura uno strumento di interrogazione, una via mistica che si avventura nei territori del mistero senza la pretesa di scioglierlo. La sua poesia non è catechismo né esegesi, ma un’ esperienza del sacro nella sua tensione più viva, una parola che si piega sotto il peso della Croce e che, nel farsi poesia, cerca di restituirne il dramma. È una poesia che si nutre di carne e dolore, di storia e sangue: Biscotto non si limita a evocare il sacrificio cristico, ma lo assume come esperienza personale.
La Croce non è un emblema distante né una storia del passato, ma una condizione che grava sull’esistenza stessa: "Sulle spalle dolenti / mi porti / sulla fronte trafitta / mi poso / sulla schiena straziata / ti gravo: / la croce sono io." ( La Croce ) È un’affermazione radicale, che non lascia spazio a interpretazioni metaforiche o a letture puramente estetiche: il poeta si riconosce nella Croce, si fa parte di quel dolore e di quella redenzione .
Eppure, per quanto assoluto possa essere questo riconoscimento, in Biscotto la fede non è mai quiete, né accettazione passiva. È semmai un interrogativo, una lotta interiore, un continuo misurarsi con il divino senza mai poterlo afferrare. "Chi sei dunque? / Chi può credere?" chiede nei versi di “ Sequela ”, e la domanda non ha una risposta univoca, perché la fede, nella sua poesia, è una tensione costante , una vertigine che non si lascia placare. Il poeta si fa testimone di questa frattura tra l’uomo e il sacro, lasciando che sia la parola a intercettare l’eco di un’assenza mai del tutto colmabile.
Il cristianesimo raccontato da Alberto Biscotto è un enigma che sfida la logica: Dio si fa uomo, l’eterno si incarna, il divino si piega alla dimensione della carne. Questo incontro tra cielo e terra è il fulcro della poesia “ Annunciazione ”, che evoca l’episodio biblico facendolo vibrare nel suo dramma interiore. Maria è ancora soltanto una ragazza travolta da un evento che non può comprendere, mentre l’angelo porta con sé il peso dell’incomprensibile. “Sconvolta, / fosti sconvolta”, Il verbo si fa carne, ma prima di essere accettato deve frantumare ogni certezza umana. Il divino non si manifesta con dolcezza: è un’irruzione che squarcia il reale, un’intrusione che paralizza. Biscotto non ci mostra una Vergine immediatamente pronta a dire “sì”, ma una giovane che si ribella alla sproporzione di ciò che le viene annunciato. “Non bastava il timore / – vedere l’angelo dà timore – / ma l’angelo parlò”. Vedere non è ancora credere , e la parola stessa dell’angelo non basta a dissipare lo smarrimento. E poi, d’improvviso, la resa. Ma non è una resa imposta, né il frutto di un ragionamento. È qualcosa di più radicale: “Fu la sospensione per un attimo / – e poi per sempre – / di ogni conoscere, / per lasciarsi invadere da quella Misericordia / che diveniva ora tranquilla serenità”. Maria non capisce, ma accetta di non capire. La fede è qui: nella resa alla potenza di un mistero che non si lascia possedere, ma solo accogliere.
La grande intuizione di Alberto Biscotto è quella di non relegare la Croce alla sola dimensione storica o liturgica, ma di farne un’ esperienza personale , esistenziale. “La Croce sono io” è un’identificazione radicale: la sofferenza di Cristo è condivisa , portata sulle spalle di ogni uomo, ripetuta nei gesti quotidiani dell’umano fallimento.
Tra i versi di “ Via Crucis ”, la condizione di Cristo comprende l’abbandono, il tradimento, la solitudine . Non sono solo il prezzo della Redenzione, ma esperienze che attraversano l’intera esistenza umana. “Chi altri poteva tradire / se nessuno dei tuoi / ti è rimasto accanto?” scrive Biscotto, per restituire l’essenza tragica di questo percorso. La salvezza passa per la perdita, la Resurrezione per la discesa nell’ombra. Non c’è vittoria senza il patire dell’attesa, senza il vuoto che precede la luce.
La Croce è il luogo del sacrificio, ma anche il punto più oscuro della storia divina. Il Dio che soffre è il Dio che, nel momento estremo, si scopre abbandonato dal Padre, o almeno sente su di sé il peso di una distanza incolmabile. “ Sete ”, forse il componimento più struggente tra le poesie di Biscotto, non descrive solo la sete fisica del crocifisso, ma la lacerazione metafisica di un Dio che, per un istante, sembra smarrire il senso stesso della sua missione: “Era arsura delle fauci, / la troppa distanza del Padre / o di giustizia / – ora, che palesemente era violata – / la sete che urlasti / in quegli ultimi istanti?” La sete è il grido dell’anima, una sete di senso, sete di un Dio che tace mentre il Figlio muore.
Eppure, questo stesso Dio che si abbandona alla morte è il Dio che si è fatto fragile, che ha accettato di essere uomo non nel trionfo, ma nella vulnerabilità . “Non ci hai fatti d’oro / o di luce: / di fango.”, scrive Biscotto nella poesia “ Fango ”, riportando la fede alla sua dimensione più radicale: non è l’uomo a doversi innalzare fino a Dio, è Dio che si abbassa fino all’uomo. E nella sua umiltà estrema trova la sua vera grandezza .
Lo stile di Alberto Biscotto è una tensione costante tra l’essenziale e il sublime , tra il non detto e l’irriducibile peso del significato. C’è un’arte della sottrazione nei suoi versi, una consapevolezza della parola come spazio sacro, in cui il linguaggio non deve colmare il vuoto, ma lasciarlo intravedere, accennarlo, farlo bruciare. La sintassi, spesso ellittica, imita la logica frammentaria del sacro, dove il mistero non si svela per intero, ma si intravede come un bagliore tra le crepe. La poesia di Biscotto non è affabulazione o descrizione, ma epifania in frammenti.
E poi c’è il silenzio. Uno spazio bianco che è parte stessa del testo, un vuoto che pesa come la distanza tra il Padre e il Figlio sulla croce, come l’assenza di Dio nelle ore della prova. Alberto Biscotto scrive come chi ha visto l’angelo e ne è rimasto sconvolto, come chi porta la Croce e ne sente ogni chiodo conficcarsi nella carne. La sua poesia non chiede di essere capita, ma di essere vissuta .
La poesia di Alberto Biscotto si muove sul confine tra parola e silenzio, tra presenza è assenza. È un’esperienza che attraversa il lettore, lo scuote, lo costringe a sostare nel mistero senza offrirgli risposte immediate. Biscotto non scrive per consolare, ma per rivelare. E nel suo rivelare, lascia che il silenzio della parola diventi il luogo di una domanda inesauribile. Perché la fede, come la poesia, si compie nell’ attesa .
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