Nelle sfilate 2020-21 torna, con la cravatta, l’eleganza un po’ formale Nell’inserto de La Provincia, le riflessioni del filosofo Francesco Forlani
Moda uomo, “classica”
come la vanità maschile
Nelle sfilate 2020-21 torna, con la cravatta, l’eleganza un po’ formale
Nell’inserto de La Provincia, le riflessioni del filosofo Francesco Forlani
“Magister elegantiarum” lo si potrebbe chiamare, non soltanto per lo stile del suo look, ma soprattutto per come Francesco Forlani sa pensare la moda. Dal “Manifesto del comunista dandy” (Miraggi), ormai un classico, al recente”Peli” (Fefè), il filosofo italo-francese è l’interlocutore più adatto per parlare di vanità al maschile. Ecco l’intervista pubblicata oggi nell’inserto che La Provincia di Como ha dedicato alle recenti sfilate della moda uomo per l’autunno-inverno 2020-2021, con un focus sul tema della cravatta, a cura di Serena Brivio.
La “vanitas” è sempre più evocata nelle cronache della moda maschile. Quali coordinate le appartengono?
Mi piace la vanità quasi come elogio dell’effimero, proprio come facevano i grandi maestri con le nature morte, che poi l’occhio attento sa essere per lo più dei falsi d’autore, come ho appreso da una delle guide del magnifico museo mediceo di Poggio a Caiano. Vi si rappresentavano infatti fiori di stagionatura diversa e dunque in un’impossibile convivenza temporale. Della vanità della moda come rivolta alla morte vi sono splendidi ragionamenti a riguardo, da Leopardi, Baudelaire fino al magnifico saggio di Gillo Dorfles, Mode e Modi del 79. E come nell’invenzione delle Nature Morte allo stesso modo certe avanguardie dello stile, diremmo Underground, penso a un nome su tutti, Vivienne Westwood, propongono in termini di tessuti e forme, vere e proprie composizioni in canti e controcanti, polifonie per dirlo alla Bachtin, ovvero voci, urlate o sussurrate contro l’ordine stabilito che è la vera morte, se ci pensa. L’altra vanità, quella narcisa e kitsch non m’interessa per quanto sia sempre di moda.
Dandy è un termine che lei ben conosce e ha fatto anche la fortuna di un suo saggio (Manifesto del comunista dandy). Chi è oggi, il dandy autentico?
Una parola misteriosa come Tango, Dada, Jazz, precisa e vaga. Diciamo che nella vestitura militare di guerra di posizione nel mondo, i Dandy sono coloro che indossano divise e mai uniformi. È il trionfo della bellezza del “non so che”, dell’avere stile senza determinarne la natura precisa. È sicuramente un marchio e mai una marca. Abitiamo i nostri capi disobbedendo agli ordini.
Lei è filosofo, italianista, scrittore, giornalista. E una persona dal look che si ricorda. Quanto conta la moda nella sua vita?
Credo che pensiero e cura siano strettamente legati e che l’esercizio del pensiero si faccia anche attraverso l’attenzione all’apparenza. È una questione politica fondamentale. Quando il romanziere americano Vonnegut descrive nel suo immenso Mattatoio n°5, i prigionieri inglesi che ottemperavano a tutti i doveri dell’apparenza, barba fatta, esercizi fisici ogni mattina, distanti anni luce dalla trascuratezza dei militari americani, ci vuole dire che il primo atto di resistenza alla morte è non rinunciare ai rituali della vita. Ricordo di aver seguito a un certo punto le tappe di un importante festival jazz che per cinque settimane si svolgeva lungo tutta la cintura parigina, Banlieues Bleues. Grandissimi jazzisti di tutto il mondo. Da Michel Petrucciani a Miles Davis, da Nina Simone a Chuck Berry, Art Blakey per citarne alcuni. Bene , molti di loro animavano nei quartieri caldi degli atelier per giovani e quando le cités vedevano sbarcare dei black con giacca e cravatta, scarpe lucide, si potrà immaginare l’effetto che aveva, sull’equazione, quartieri poveri trasandatezza, assolutamente infondata. Del resto qui a Parigi le migliori scarpe inglesi le trovi in un quartiere popolare come quello della Gare du Nord.
Nato a Caserta, lei vive e lavora a Parigi da 30 anni. Cosa sente più congeniale dell’idea di eleganza francese e cosa di quella italiana?
Un trentennio interrotto da un periodo di esilio a Torino che mi ha permesso di capire meglio certe differenze tra noi e loro. Direi che la Polifonia si realizzi quasi naturalmente a Parigi, un Underground che è vera e propria aristocrazia dello sguardo, con una componente italiana davvero importante. Potremmo dire che il Made in Italy una volta nel paesaggio francese acquisti un senso nuovo, grazie del resto ai tantissimi giovani stilisti italiani che sono venuti in Francia come del resto fece il nostro Leonardo da Vinci, anche lui creatore di moda, per quanto già sessantenne alla corte di François Ier.
Su quali accessori punta?
Per affrontare il senso della vita bisogna avere scarpe, cravatta e cappello giusti. E le faccio un’anticipazione, vedrà che la bombetta esploderà di nuovo nelle strade occidentali, con tutte le sue varianti da Charlot, Totò fino ad Arancia Meccanica e quella sensuale da una delle protagoniste dell’Insostenibile leggerezza dell’Essere di Milan Kundera.
Barba e baffi sono tornati a imporsi, nelle ultime stagioni della moda uomo. Che interpretazione dare di un trend così in apparenza solo “modaiolo”?
A proposito di quanto dicevamo all’inizio della nostra conversazione, il Dandy è agli antipodi dell’Hipster, divisa e non uniforme, La barba e i capelli modellati, dominati dalle linee sono la negazione della dimensione selvaggia. È il trionfo del giardino all’italiana e alla francese, della legge del giorno mentre il dandy asseconda lo spirito irrazionale e romantico dei giardini all’inglese e della notte. Ci vuole molta più cura nel dialogo con il caos di quanto non ne occorra per l’asservimento all’ordine.
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