Il nuovo album di Van de Sfroos, “Manóglia ”: ogni brano raccontato dall’artista

Il disco L’artista presenta l’ottavo lavoro in studio, che prende il nome dal grande albero di Mezzegra. Quasi un amuleto: «Oscuro e intimo, non cupo, ma crepuscolare e molto privato. Regalo parte di me agli altri»

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Avevo in mente di fare un disco come “Manóglia” da tanto tempo. Spesso erano i giornalisti a fare il tifo perché arrivasse un album dall’impronta un po’ più “acustica”, a volte era il mio pubblico che mi chiedeva di arrangiare diversamente i miei brani e farne una raccolta “in stile Nebraska” (album di Bruce Springsteen interamente acustico del 1982, ndr). In effetti avevo un po’ di canzoni nel cassetto che avevo scritto più per me stesso che per gli altri, così ho deciso che l’autunno, questo autunno, sarebbe stato il momento giusto per farle venire alle luce e condividerle con tutti. Con i miei fidati compagni di viaggio ci siamo messi al lavoro con l’idea di fare un disco “in penombra”, non arrangiato nel solito modo, con una struttura che non fosse il nostro usuale Power Folk, ma un album che doveva avere i suoi chiaroscuri, che fosse morbido e avesse un sound tipico di un lavoro che predilige sonorità e strumenti acustici.

È un “disco amuleto”, mi piace pensare, un disco oscuro e intimo, ma non oscuro in senso di cupo, ma crepuscolare, e molto privato in un certo senso. Canzoni come “Zia Nora”, per esempio, non avrei mai pensato di metterle in un album, invece, con il giusto rispetto e la giusta veste, ho deciso di regalare una parte di me agli altri. È un album anche molto naturalistico anche, scritto in parte in contesti naturali, ci sono foglie di “manóglia”, di tantissimi altri alberi, ci sono prati, grilli, uccelli, merli, falchi.

La ballata del mascheraio – Ho potuto assistere al lavoro dei maestri mascherai di Schignano, ascoltando i loro colpi e i loro punti di vista sulla creazione di una maschera. Ho capito che partendo da lì, avrei potuto anche io costruire una “canzone maschera”, che sarebbe diventata una metafora morbida sui vari volti della vita. Una maschera si mostra mentre nasconde un volto e c’è un’arcana magia in tutto questo.

Forsi – Un brano fuori dal tempo che gioca e scherza con le indecisioni della nostra epoca usando come binario musicale il ritmo di una chitarra gitana in stile manouche, poi tutto si apre e si muove prendendo in prestito il mood che troveremmo nei filmati di Buster Keaton o in qualche altro mondo in bianco e nero dove il colore, però, sembra essere lì nascosto, pronto ad aggredirti da un momento all’altro.

Crisalide (Le ali del falco) – Viaggiando sulla locomotiva di un pianoforte sognante, appare questo testo, scritto poco prima del tramonto nei prati vicino a casa mia. Si parte dalle ali delle farfalle per arrivare a chiedere in prestito quelle del falco per poter volare più in alto e riflettere sulla propria condizione dando uno sguardo panoramico prima di tornare giù. Il volo è accompagnato dalla tastiera sognante del maestro Maurizio Fasoli.

Manóglia – La vecchia magnolia gigantesca che ha fatto da totem nella piazza del circolo di Azzano di Mezzegra durante le nostre epoche e i nostri anni, viene ritrovata dopo la clausura e la pandemia con tutta la sua potenza evocativa e con tutti i fantasmi rinchiusi nel silenzio della sua ombra. Il mondo dei ricordi si riapre mentre si rimane lì con in mano le sue foglie, a riflettere sullo scorrere del nastro della vita.

La canzone che non c’è – Una cavalcata western, emotiva e introspettiva che celebra il viaggio alla ricerca della canzone non ancora scritta. La strana sostanza simile a quella dei sogni che ricerchiamo per trovare il lago segreto, dove forse sta nuotando la canzone che non c’è, e che noi, di questo mestiere, dobbiamo portare a casa prima di sera, o prima del mattino.

Shandemé – Sonorità di altri mondi per celebrare questa sottile preghiera, attraversata dal vento della sera, pieno di cose portate in modo poco chiassoso e solo sussurrato. Tutti vogliamo prender per mano almeno per un istante la Regina del tutto, madre di tutte le cose che dal suo tempo in mezzo alla natura ci riconduce al centro delle cose perdute.

Zia Nora – Posso dire che la zia Nora è stata per me non soltanto una figura tenera e affettuosa di famiglia, ma anche la strana sacerdotessa inconsapevole che mi ha iniziato a una visione del mondo sia concreto che immaginabile che ancora oggi mi accompagna e ha caratterizzato il mio viaggio. La canzone si sposta su binari di un paradosso, ovvero un’allegra nostalgia, come fosse scritto dal bambino che ancora contengo e che non dimentica.

Ankainköö – Anche questo brano è nato durante quelle mattine nelle quali vagavo all’alba dopo aver accompagnato i figli alla corriera. Osservavo la gente che iniziava la propria giornata, trovando la forza e il coraggio di creare la propria ballata a partire dal buio del mattino fino ad arrivare a quello della sera, trasformando anche oggi – “ankainköö”, appunto – i rituali della quotidianità in qualcosa di misteriosamente magico ed essenziale.

El Giuvanónn (Il becco del merlo) - Questa è la canzone gemellata, musicalmente, con “Crisalide”. Ma in questo caso le ali del falco lasciano il posto al becco del merlo, quindi dall’elemento aria si scende nella terra e come simbolo compare la figura del “Giuvanónn”, contadino puro dalla nascita fino alla fine dei suoi giorni, a ricordarci l’importanza dello scavare dentro i nostri stessi ricordi per recuperare tesori dimenticati.

El mekanik – Alcune persone che magari non hanno alle spalle una storia facile, invece di diventare portatrici di rancore o di veleno, si trasformano addirittura in meccanici nei confronti del destino altrui e con precisione e dedizione si vendicano di una sorte avversa riparando anziché distruggendo. Il gusto psichedelico del brano mi ha appassionato fin da subito.

Foglie al vento - Questo non è soltanto il sequel de “La preghiera delle quattro foglie” (dal disco “Akuaduulza”, ndr), che aggiunge altri quattro simboli arborei rimanendo fedele alla struttura, ma è anche il riassunto e l’incontro dei due brani nel momento in cui si snoda nel lungo finale ambient. Si continua con la tradizione della presenza del vento nell’ultimo brano dell’album. E questa volta si ha la sensazione che il disco non finisca mai realmente. (Testo raccolto da Alessio Brunialti)

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